L’età del pensionamento dei lavoratori italiani è destinata a salire. Sono troppe le variabili che “spingono” per questo processo, praticamente inevitabile: l’aspettativa di vita media dei cittadini rimane tra le più alte al mondo, il tasso demografico sempre più giù (con la maggioranza delle famiglie che si fermano ad un figlio), il numero di lavoratori attivi sempre più ristretto. Il risultato di tutto queste dinamiche sta mettendo in crisi sempre più nera le casse dell’Inps. E chi governa il Paese è costretto a prendere provvedimenti. Qualche giorno fa “Investire Oggi” ha si è soffermata sul “paradosso” degli “aumenti costanti dei requisiti delle pensioni se la popolazione vive più a lungo” arrivando a scrivere che “due o tre mesi alla volta, molto presto le pensioni di vecchiaia supereranno il tetto dei 70 anni. E non ci vogliono simulatori per capirlo”.
Già nel prossimo futuro avremo effetti al rialzo dell’età pensionabile: dal 2029 l’uscita dal lavoro per ‘vecchiaia’ passerà dagli attuali 67 anni a 67 anni e 5 mesi. Sul lungo periodo si andrà sempre peggio: “per i trentenni di oggi la pensione si prenderà oltre i 70 anni”, perchè “ogni 10 anni l’età pensionabile rischia di salire di 10/12 mesi, se non di più. Già nel 2034 potrebbero servire 68 anni per lasciare il lavoro, e prima del 2040 si arriverebbe a 69. Per poi andare dritti verso la fatidica quota dei 70 anni”.
I sindacati hanno espresso da tempo tutta la loro contrarietà. Anche perché vi sono dei settori, come quello della scuola, dove l’uscita tardiva dal lavoro viene vista come una tragedia.
Qualche mese fa Manuela Calza, segretaria nazionale Flc-Cgil, a colloquio con ‘La Tecnica della Scuola’ aveva definito tutto questo “una sorta di accanimento”, spiegando l’importanza di “consentire a certi dipendenti, come gli insegnanti, l’uscita anticipata dal lavoro: non intendiamo riportare le lancette indietro di alcuni decenni, ma semplicemente riconoscere che dopo i 60 anni di età e una vita di lavoro, il diritto alla quiescenza sia un diritto sacrosanto”.
La tendenza di limitare le vie d’uscita anticipata per i lavoratori della scuola anziché allargarne l’impiego, diventa poi ancora più indigesta se si guarda alla campagna elettorale delle ultime elezioni politiche, quando la Lega guidata da Matteo Salvini annunciò in più occasioni di volere cancellare la Riforma Fornero che ha imposto la pensione di vecchiaia a 67 anni.
“Stiamo riuscendo nell’impresa – ha detto Marcello Pacifico, presidente dell’Anief – di fare peggio della Legge Fornero: comprendiamo le difficoltà dell’Inps a mantenere in vita il sistema ma ci sono categorie di lavoratori, come i docenti e il personale Ata, che dopo i 60 anni di età in larga parte sono vittime del burnout e non possono rimanere fino alla soglia dei 70 anni: va assolutamente introdotta una deroga, specifica per la scuola, che riconosca lo stress da lavoro correlato: già oggi abbiamo più di 235 mila dipendenti con oltre 60 e tra i più alti gap generazionali mondiali del nostro corpo insegnante rispetto agli studenti, dove vogliamo arrivare?”.
Secondo Pacifico questo innalzamento continuo dell’età di pensionamento ancora più “assurdo” se pensiamo che “nel 2011 si andava” via dal lavoro “a 60 anni senza riduzioni all’assegno di quiescenza”.
Per questo, l’Anief ha avviato ha una petizione online attraverso la quale per il personale della scuola si chiede il pensionamento a 60 anni e il riscatto gratuito degli anni di formazione universitaria: in meno di 20 giorni la petizione ha raccolto già oltre 70 mila adesioni.