La proposta di riforma delle pensioni, presentata il 15 febbraio dal Governo ai sindacati, non piace proprio ai Confederali, perché penalizzerebbe ulteriormente i lavoratori, anziché andare loro incontro. Anche tra i tanti docenti e Ata ultrasessantenni, in qualche modo interessati all’evoluzione del confronto, prevale la delusione.
“È significativo – ha detto il segretario confederale Uil Domenico Proietti – che il Governo riconosca che bisogna introdurre una flessibilità nell’età di accesso alla pensione. Giudichiamo sbagliata l’idea di legare questa flessibilità al ricalcolo contributivo che sarebbe un ulteriore penalizzazione”.
“In Italia da 10 anni – ha continuato Proietti – si va in pensione a 67 anni di età, mentre in Europa la media solo ora raggiunge i 63 anni. Il tema, quindi, è quello di riallineare l’età di accesso la pensione a quello che avviene in Europa. Perseguendo, anche, la strada dei lavori gravosi e usuranti eliminando tutti i vincoli formali che hanno impedito ai lavoratori di poter utilizzare questi strumenti”.
“Si deve dare una risposta ai lavoratori precoci stabilendo che 41 anni di contributi sono sufficienti per andare in pensione a prescindere dall’età. Nel sistema contributivo – ha concluso – vanno superate le soglie reddituali che impongono a chi ha carriere più deboli o discontinue di andare in pensione più tardi”.
Drastico è stato anche Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil, per il quale “il ricalcolo contributivo della pensione come avviene per Opzione donna è inaccettabile: si perde fino al 30% dell’assegno”.
“Secondo il quadro che è stato presentato – ha continuato Ghiselli – la flessibilità che viene ipotizzata comprende anche una tutela ulteriore per le categorie più deboli come disoccupati, gravosi, invalidi e coloro che assistono un familiare con handicap, punto su cui il Governo si è impegnato ad effettuare delle verifiche tecniche. Al contrario – ha concluso – nessuna apertura è stata fatta rispetto alla nostra richiesta relativa alla riduzione dell’accesso a 41 anni per la pensioni anticipata”.
Anche la Cisl esprime forti critiche alla proposta. “Da troppo tempo – ha detto – le pensioni sono considerate il modo più semplice con cui realizzare risparmi per la spesa pubblica. A 80 miliardi ammontano infatti i risparmi ottenuti per effetto della legge Monti- Fornero tra il 2012 e il 2019. Oggi autorevoli istituti di ricerca dichiarano che per effetto dell’innalzamento della mortalità a causa della pandemia l’Inps risparmierà in un decennio oltre 11 miliardi. È ora di iniziare a restituire ai pensionati e ai lavoratori maggiori diritti in tema di previdenza”.
La Cisl chiede al Governo “accesso alla pensione dai 62 anni, la possibilità in ogni caso di ottenere la pensione con 41 anni di contributi senza vincoli sull’età. L’eliminazione degli importi soglia che limitano fortemente il diritto alla pensione nel sistema contributivo. Maggiore tutela per le donne con il riconoscimento dell’anticipo di 12 mesi per figlio e la conferma di opzione donna”.
Il sindacato rivendica anche “la pensione contributiva di garanzia per chi va in pensione con un importo troppo basso a causa di una carriera frammentata e basse retribuzioni. Il riconoscimento del lavoro di cura a fini pensionistici, una maggiore attenzione a chi svolge lavori gravosi e usuranti. Il sostegno allo sviluppo della previdenza complementare. La tutela del potere di acquisto delle pensioni e l’incremento della quattordicesima per i pensionati”.
Sulla flessibilità pensionistica, il 15 febbraio è intervenuto anche il presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla, che ha chiesto di mantenere per l’accesso anticipato alla pensione la ‘Quota 102’ (64 anni di età con almeno 38 anni di contributi) in vigore quest’anno solo in via transitoria.
Brambilla ha però anche detto di essere d’accordo con la modifica del sistema previdenziale con l’aspettativa di vita e prevedendo la formazione dell’assegno di quiescenza interamente con il calcolo contributivo: due punti su cui c’è concordanza con il Governo.
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