Sulla riforma delle regole che portano al pensionamento è un gran parlare. Soprattutto per via della “stretta” imposta negli ultimi tre lustri, che ha portato l’età di uscita dal lavoro 67 anni per tutti o a 41 e 10 mesi di contributi per le donne e un ulteriore anno per gli uomini. Con richieste popolari di anticipare in qualche modo, a costo di pagare di tasca propria i disincentivi studiati da Governo di turno sotto forma di riduzione sostanziosa dell’assegno.
Le soglie rimarranno queste, con alcune eccezioni, sino all’inizio del 2023. Il timore, per molti, è che, a seguito di un eventuale innalzamento dell’aspettativa di vita, possano elevarsi ulteriormente. Ma il “pericolo” non è sentito da tutti: ci sono, anzi, delle categorie di lavoratori che desiderano rimanere oltre quell’età.
A dire il vero, però alcune tipologie di dipendenti tale facoltà già esiste: sono, ad esempio, i magistrati e i docenti universitari.
E ora c’è chi vorrebbe fare propria questa possibilità. Come i dirigenti pubblici. A farsi portavoce per molti di loro è stato il sindacato Unadis: il 18 febbraio ha chiesto che “la dirigenza dello Stato sia equiparata a magistrati, professori universitari e medici” anche sotto il profilo dell’età pensionabile”.
Fra le proposte che il sindacato dei dirigenti pubblici Unadis presenterà al tavolo con la ministra della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone, in programma per mercoledì 19 febbraio c’è proprio la richiesta “per i dirigenti pubblici, di ministeri, presidenza del Consiglio dei ministri e Agenzie, di poter scegliere se andare in pensione a 70 anni, come già previsto nel Milleproroghe per i medici e come è consentito ai magistrati e ai professori universitari”.
Il motivo della permanenza in servizio è legato, spesso, a convenienze economiche di tutto rispetto: un dirigente pubblico, come accade con alta frequenza nella scuola con i capi d’istituto, spesso arriva a coprire tale ruolo solo negli ultimi anni della propria carriera lavorativa.
Ora, è chiaro che la permanenza nel profilo dirigenziale per più tempo possibile, soprattutto negli anni a ridosso della pensione, ha un’incidenza molto alta nel “montante” previdenziale e quindi nella formazione dell’assegno di quiescenza. Oltre che del Trattamento di fine servizio, per il quale si profila ora la possibilità di ricevere immediatamente dopo l’addio al lavoro fino 45 mila euro di anticipo (tramite il prestito bancario e con un tasso annuo di interesse).
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