Per l’ennesima volta la scuola italiana è scesa, sabato 17 gennaio, in piazza per protestare contro la riforma della scuola che il Ministro Moratti sta portando avanti senza ascoltare le voci di dissenso che provengono da tutti i settori: da quello degli insegnanti, delle famiglie, degli studenti, dei sindacati, delle associazioni professionali, degli enti locali, dello stesso Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, il massimo organo di consultazione della scuola, che più volte ha espresso pareri decisamente contrari, ma che altrettante volte è stato clamorosamente disatteso.
Il ministro Letizia Moratti da sempre, a parole, dichiara di voler ascoltare i soggetti interessati al processo di riforma, di volerli coinvolgere – come recentemente ha pure dichiarato nella lettera indirizzata alle famiglie contestualmente all’emanazione della circolare sulle iscrizioni per il prossimo anno scolastico – ma di fatto, poi, forte della maggioranza governativa che la sostiene, continua nel suo disegno di disgregazione della scuola pubblica a favore di quella privata.
Per questo, sabato 17 gennaio, sono scesi in piazza migliaia di genitori, di insegnanti, di alunni, di rappresentanti dei sindacati e dei partiti politici della minoranza parlamentare, degli enti locali. Significativa la presenza del sindaco di Roma, Walter Veltroni.
Significativa, per altro, la colorita presenza degli scolari della scuola primaria, coinvolti nella manifestazione di protesta a difesa dei loro precisi diritti, soprattutto di quello del tempo scuola.
Saranno stati centomila coloro che sono scesi in piazza, secondo le stime degli organizzatori, o solo trentamila come dichiarato dagli organi di polizia. Ovviamente non è il numero esatto, tuttavia, che conta, che dà significato alla manifestazione. Anche trentamila non debbono sembrare pochi. Sono sempre una percentuale abbastanza alta e sicuramente espressione del forte disagio che la scuola italiana sta attraversando in questo particolare momento.
La scuola è scesa in piazza questa volta con un motivo in più: la difesa del tempo pieno nella scuola primaria e del tempo prolungato nella scuola secondaria di primo grado. Due modelli supportati da verifiche e valutazioni tante volte positive.
Il ministro Letizia Moratti assicura che il tempo pieno sarà mantenuto, ma di fatto va gettando le basi perché questo modello didattico, tradizionalmente altamente positivo e che tanto bene ha fatto nella scuola italiana, finisca con l’essere ridotto ad attività aggiuntiva, complementare del vero e proprio curricolo scolastico.
Non v’è chi non veda che il tempo pieno, così come era stato creato nel 1971, e quello prolungato, successivamente implementato nella scuola media, sia completamente diverso da quello che oggi viene gabellato per tale dalla riforma in atto, tanto vicino ad un modello di doposcuola assistenziale. Quasi un dopolavoro…scolastico, potremmo dire con una metafora che in questo momento ci pare molto appropriata.
Confermato a parole, insomma, ma di fatto stravolto. Più esattamente, e chiaramente, rinnegato.
Il tempo pieno, o prolungato, così come vanno ipotizzando il ministro Moratti e lo staff di esperti di cui si è circondata fin dal suo insediamento alla Minerva, finisce con il perdere quell’alta valenza sociale ed educativa che ne aveva caratterizzato più di trent’anni addietro la nascita e ne aveva accompagnato lo sviluppo fino a farlo divenire un modello educativo esemplare in cui i vari momenti del curricolo trovavano la massima integrazione.
Questa validità non può essere sottaciuta e ignorata come hanno dimostrato tante esperienze che ancora vengono ricordate con valore paradigmatico.
Ridurre il tempo pieno e prolungato ad ore aggiuntive o complementari della normale attività scolastica, significa ripristinare l’antico doposcuola, che molto produttivo, e perciò anche benemerito, nei tempi in cui fu in auge, oggi finirebbe con l’essere equiparato ad un ormai desueto modello didattico, ad un inutile perdita di tempo.
Il modello di scuola che sta venendo fuori dal disegno della riforma riesce a proporre solo l’estensione. Più esattamente la mera aggiunta di ore. Non altro.
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