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In Piemonte riaprono i negozi, ma le scuole medie rimangono chiuse

Il 30 novembre si svolge una manifestazione a cui mai avrei immaginato di dover assistere: a Torino, sotto la sede della Regione Piemonte, le studentesse e gli studenti chiedono di poter andare a scuola.
Il Piemonte diventa zona covid arancione, che permetterebbe il ritorno a scuola degli studenti delle scuole medie, ma le seconde e terze medie rimangono a casa per decisione della Regione.

Ci si appella agli esperti, ma non sono esperti quelli che hanno definito le norme delle varie colorazioni? È già gravissimo che rimangano chiuse le scuole superiori a causa dei trasporti pubblici, ma che rimangano a casa gli studenti più piccoli, che raggiungono quasi sempre la scuola a piedi è inaudito.

Tutto ciò è significativo di quanta poca importanza i decisori politici attribuiscano alla scuola. Dalla Campania al Piemonte la scuola, ma soprattutto le studentesse e gli studenti, è lasciata sola, anche quando si sforza di affrontare una situazione così difficile adottando tutte le misure necessarie e anche quando il Ministero dell’Istruzione cerca di fornire gli strumenti necessari: mascherine, gel disinfettante, banchi monoposto, tablet e computer. Proprio questi ultimi rischiano di svanire nel nulla perché nessuno si preoccupa di impedire i furti. A Torino nelle ultime due settimane sono avvenuti decine di furti nelle scuole. In molti casi con grande soddisfazione dei malviventi, che hanno lasciato le scuole senza gli strumenti che avrebbero dovuto essere consegnati in prestito d’uso agli studenti le cui famiglie non sono in grado di acquistarli.
Chi doveva occuparsi di proteggere questi strumenti attraverso aule blindate ed antifurto? Non sono soprattutto gli enti locali che si occupano di edilizia scolastica? Ma purtroppo nelle scuole siamo ancora alle prese con acqua che entra dai tetti e con riscaldamenti che lasciano al gelo chi ancora ha il privilegio di frequentarle. Figuriamoci quindi se possono occuparsi di agire razionalmente mettendo al sicuro gli strumenti indispensabili per la didattica digitale.

La Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen all’inaugurazione dell’Università Bocconi di Milano parla della “Next Generation EU” che in Italia non traduciamo come tale. Utilizziamo solo il termine “Recovery Fund”.
In questo paese continuiamo a dimenticarci delle prossime generazioni, sia per quanto riguarda le politiche ambientali in termini di emissioni, di consumo del territorio e di dissesto idrogeologico, sia per quanto riguarda la formazione.

La Von der Leyen ci ricorda che questi fondi vanno spesi bene e che soprattutto bisogna pensare ad una riforma della pubblica amministrazione -quella che tra l’altro impedisce i rapidi interventi nelle scuole e non riforma la Sanità, anche quando i soldi ci sono- e alla formazione dei giovani, di cui noi non ci preoccupiamo, lasciandoli quasi un intero anno scolastico a fare lezione dietro un monitor, pensando che la scuola si possa fare così, senza alcun problema, ignorando i danni per l’apprendimento, psicologici e l’aumento della dispersione scolastica, che nel nostro paese è già tra i più alti del mondo industrializzato.

Riaprono i negozi, ma non le scuole. Con tutto il rispetto per il lavoro dei commercianti è impensabile che sia accettabile l’affollamento nelle vie commerciali e gli studenti non possano andare a scuola dove, nei casi in cui le regole vengono rispettate, i contagi sono rarissimi.
Si direbbe che si desideri avere a che fare solo con dei consumatori, non con degli esseri umani in grado di pensare. Perché soprattutto a questo dovrebbe servire la scuola: insegnare a pensare.

Claudio Berretta

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