Siamo prossimi alla scadenza delle Graduatorie d’istituto e mai come quest’anno il MIUR si dimostra solerte ed efficiente. L’avvio delle procedure di aggiornamento, infatti, è previsto entro il 10 giugno. Un appuntamento sempre importante per migliaia di docenti assunti a tempo determinato che però, come tradizione ormai vuole, sarà accompagnato da preoccupazione, inevitabili polemiche e altrettanto inevitabili contenziosi.
Entrando nel dettaglio di quanto riferiscono i sindacati, infatti, si è appreso che per i diplomati magistrali non partiranno i PAS e che dovrebbe quindi essere dato corso al parere del Consiglio di Stato, con la possibilità di iscrizione nella II fascia delle graduatorie di istituto. Ciò che preoccupa, tuttavia, è questo condizionale, visto che la fatidica “firma” del decreto tanto atteso non è ancora stata apposta e che non si sente parlare di un adeguamento del decreto sulla formazione iniziale dei docenti che parla di TFA e PAS anche per i diplomati magistrali. Si profila, quindi, stando così le cose, l’ennesima incongruenza normativa, frutto della sovrapposizione di riferimenti diversi, discordanti e contrastanti.
Anche per i docenti tecnico pratici, poi, non sembra annunciato nulla di buono e, in assenza di percorsi abilitati ordinari o speciali, si profila inevitabilmente una nuova stagione di sfruttamento, relegati come sono da oltre dieci anni nella III fascia delle Graduatorie d’istituto.
Ma le ambiguità non si risolvono qui, visto che, anche a parità di titoli, si profilano le “solite” disparità di trattamento. L’insidia è contenuta nelle anticipazioni sulle tabelle di valutazione dei titoli, secondo la quale a chi ha conseguito l’abilitazione con il Tirocinio formativo attivo sarà riconosciuto un punteggio che valorizzi non tanto il titolo, quanto il sistema di accesso, basato su test pieni di errori macroscopici e di carattere enigmistico. Ora, fermo restando che nessuno ha intenzione di alimentare inesistenti contrapposizioni tra i diversi segmenti che compongono l’universo dei “docenti” nel sistema scolastico italiano, cogliamo l’occasione per ricordare al Ministro e ai suoi collaboratori che nel lontano 2012, Lucrezia Stellacci firmò una ormai famosa nota (8 maggio) nella quale si dichiarava quanto segue: “La procedura per i docenti con 36 mesi di servizio sarà costituita da un percorso formativo e da un esame da sostenere e superare per conseguire l’abilitazione. Tale procedura fa eccezione alla logica programmatoria cui è improntato il TFA disciplinato dal D.M. n.249 ma cerca di dare risposta all’esigenza di regolarizzare la situazione di migliaia di persone che hanno permesso negli ultimi anni alle scuole statali e paritarie di funzionare nonostante l’assenza di abilitati. Ove si trascurasse questa emergenza, potremmo incorrere, oltre che in un aggravamento della presenza di non abilitati nella scuola, in probabili sentenze di condanna dell’Amministrazione a dare attuazione al D. Leg.vo 9/11/2007 n. 206 che, in esecuzione della direttiva comunitaria 2005/36 CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, fa discendere il riconoscimento dell’abilitazione anche all’effettivo svolgimento dell’attività professionale per almeno tre anni sul territorio dello Stato membro in cui è stato conseguito o riconosciuto il titolo di laurea, previo apposito percorso di abilitazione”. Queste dichiarazioni formali e autorevoli, troppo spesso dimenticate, produssero l’inevitabile possibilità di scelta per migliaia di docenti della III fascia delle graduatorie d’istituto, ovvero quella di non affollarsi alle prove d’accesso per i TFA e di aspettare il provvedimento a loro destinato, così come annunciato. E gli effetti di questo furono, per le università e l’Amministrazione stessa, quelli di contenere i “numeri” degli aspiranti ai TFA ordinari.
Nessun elemento allora, come nel decreto che ha istituito sia i TFA che i PAS che, non dimentichiamo, è il medesimo, ha mai fatto ipotizzare che i due percorsi fossero in posizione gerarchica, gli uni destinati agli aspiranti docenti, gli altri ai docenti in servizio da anni, dichiarati docenti negli stessi atti ministeriali.
Ora, perché solo ex post il Ministero ancora si preoccupa di differenziare in termini di punteggio i titoli conseguiti al termine di due percorsi sostanzialmente identici? Quale giustificazione a sostegno di questa linea? Quella delle prove d’accesso? E gli anni di precariato causati dalle disfunzioni di un sistema di accesso ai corsi abilitanti dove li mettiamo? Perché, se per anni i docenti di III fascia hanno garantito, citando il MIUR, “negli ultimi anni alle scuole statali e paritarie di funzionare nonostante l’assenza di abilitati” non è certo una responsabilità dei docenti ma di quel sistema sbilanciato e inefficace delle Siss che ha dominato per circa sei/sette anni il sistema di formazione e reclutamento dei docenti. Valutare in modo sproporzionato i vergognosi test di accesso, quindi, risulta un’offesa e un’insensata proposta soprattutto in ragione di percorsi della medesima durata, di medesimo contenuto e pagati allo stesso modo!
Ricordiamo al MIUR che i contenziosi su situazioni simili, cioè su diversificazioni in termini di attribuzione di punteggio a parità di titolo, sono stati vinti. Non crediamo sia quindi molto opportuno tentare di riproporre versioni rinnovate di supervalutazione di un titolo a danno di un altro, cosa questa che sarà sicuramente impugnata da quanti si sentiranno danneggiati.
Sembrava più comprensibile una ipotesi di diversificazione tra diploma magistrale e Scienze della formazione primaria, nonostante la lunga “disattenzione” nei confronti del primo abbia innescato una improduttiva quanto infondata rivalità (per non dire ostilità) tra i docenti appartenenti alle due categorie. Non si può negare, infatti, che chi ha conseguito una laurea abbia un titolo culturale superiore, ma ciò, e in modo strumentalizzato, ha contribuito a falsare la lettura su un titolo conseguito in un contesto normativo chiaro e stabilito a livello ministeriale, disatteso e travisato in seguito. Se fossero state rispettate le regole che lo stesso MIUR aveva dettato, probabilmente, non ci sarebbe stato bisogno, a dodici anni dalla ridefinizione del profilo degli insegnanti della scuola primaria, di parlare ancora di differenziazione e ridefinizioni. Ma vista l’incapacità dell’amministrazione di prevedere canali di formazione e reclutamento tra loro coerenti, oggi stiamo ancora a discutere dell’ovvio, rischiando per altro di cadere nuovamente in sterili polemiche. A proposito dei diplomati magistrali, però, ci preme sottolineare come il Consiglio di Stato abbia sottolineato l’equivalenza dei titoli, nonostante, paradossalmente, il diploma magistrale offra un’ulteriore contraddizione in termini, visto che abilita sia alla scuola primaria che a quella dell’infanzia. Non possiamo dimenticare, poi, che dietro l’Italia c’è l’Europa e che questa non può essere invocata sempre a discapito dei cittadini. Se è vero, come è vero, che i diplomati magistrali avevano pieno titolo di insegnare nelle scuole statali, come la mettiamo di fronte allo sfruttamento evidente della loro condizione di precari, voluta dalle istituzioni per favorire le iscrizioni ai corsi di laurea in Scienze della Formazione Primaria? Perché, facendo “due più due”, l’ostruzionismo sfrenato e violento nei toni e nelle modalità operato proprio dai referenti e dai laureati e laureandi delle Facoltà di Scienze della Formazione Primaria, sul tema dei PAS per i diplomati magistrali, sembra quasi segnare una linea di continuità rispetto al trattamento riservato a questi ultimi. E tutto questo, mentre migliaia di diplomati magistrali hanno svolto le loro funzioni professionali nelle scuole statali e paritarie del Paese e, in numero consistente, risultando idonei all’ultimo concorso pubblico che, contrariamente al passato, non ha permesso neanche di entrare in una graduatoria valida per le assunzioni a tempo indeterminato, nonostante i numerosi anni di precariato alle spalle.
E a proposito dei docenti in attesa di terminare o di iniziare i PAS? Neanche una parola dall’amministrazione, né una rassicurazione. In primo luogo, chi sta frequentando e finirà a luglio, forse anche dopo, non sa ancora se potrà iscriversi con riserva in II fascia. E quanti stanno aspettando i prossimi scaglionamenti, cosa faranno? Già hanno subito l’irrazionale suddivisione in contingenti determinati esclusivamente dal servizio e adesso, quanti sarebbero in posizione migliore in graduatoria grazie ai titoli culturale, non valutati per lo scaglionamento dei PAS, rischiano di vedersi scavalcati da quei colleghi che, per gli squilibri di un sistema di reclutamento inadeguato, unicamente in base al servizio hanno avuto accesso ai PAS al primo turno.
Che dire, insegnanti gli uni contro gli altri armati, come gladiatori!
L’atteso aggiornamento delle graduatorie d’istituto, se non saranno accolte, come di prassi, le proposte di miglioramento di associazioni e sindacati, viste le premesse, garantirà inevitabili e interminabili contenziosi, dal momento che, il Ministero dell’Istruzione sembra voglia continuare ad alimentare contraddizioni e e contrasti, incurante dei diritti, delle norme da esso stesso emanate e del semplice buon senso.
Una docente precaria con un contratto a tempo determinato da parte del dirigente scolastico fino…
Finita la scuola, a giugno, molte famiglie potrebbero essere in diffcoltà perchè non avranno la…
La grammatica valenziale insegna a comprendere la struttura della frase ragionando sui legami tra parole,…
Nel cooperative learning, l'insegnante facilitatore guida, osserva e supporta il lavoro di squadra. Organizza attività,…
La Certificazione Internazionale di Alfabetizzazione Digitale è ormai requisito di accesso per tutti i profili…
Come abbiamo scritto, è finita l'attesa per il concorso per dirigenti tecnici: dallo scorso 9…