Questa mattina, viaggiando sul bus per raggiungere la sede di lavoro (che implica il cambio successivo col treno e 20 minuti di cammino sino alla sede fisica), mi accompagnava una trasmissione radiofonica che discuteva in merito alla nuova riforma del Ministro Bianchi, passata senza l’azione della discussione con le parti sociali rappresentanti la scuola, e quindi ancora una volta attraverso l’azione non democratica a cui da sempre assistiamo…(non è democrazia, certamente, questa!).
Mi hanno colpito alcuni interventi, e soprattutto la posizione di chi conduceva il dibattito, per il quale una “formazione in servizio dei docenti” sempre più “continua e strutturata in modo da favorire l’innovazione dei modelli didattici, anche alla luce dell’esperienza maturata durante l’emergenza sanitaria e in linea con gli obiettivi di sviluppo di una didattica innovativa, sia importante e dovuta.
Ok, ma nell’insieme, non ci ha capito un… della scuola.
Ma questo, unitamente a quel che si accompagna alla nuova discussione, cioè sul come si diventa docenti: credo che da ora, molti ci penseranno mille volte a progettare il loro futuro lavorativo laddove avessero incluso la possibilità della docenza: un labirinto il percorso per ritrovarsi di ruolo in cattedra (e già si ritrova “vecchio” alla missione, per la professione).
Ma nessun problema, il Governo, offre una perenne formazione che aggiorni, allenando la mente, ed essere così sempre in linea con il progresso che avanza, con il linguaggio che evolve, col mondo che prima o poi sentirà comunque lontano, e non di appartenenza.
E perché il tutto sia accettato, assorbito, basta fare leva sul misero stipendio dei docenti, legandolo non più agli scatti di anzianità (del resto non si sarà più tali), ma a quanti corsi di formazione si è partecipato: la nuova formazione obbligatoria dei docenti si calcolerà su base triennale, in orario diverso da quello lavorativo e potrà essere retribuita dalle scuole. Ma, soprattutto, permetterà “di accedere, in caso di esito positivo, ad un incentivo salariale”.
Fuori orario scolastico. Significa che quando torni da scuola alle 15 o alle 16 perché logisticamente la tua scuola è lontana dal tuo luogo abitativo, devi correre e accendere un computer (se il tutto sarà svolto on line), o restare a scuola, o raggiungere altre scuole. O chissà cosa ha pensato Bianchi, il genio post Azzolina.
Si credo che da adesso nessuno penserà a diventare docente, perché di docente non è rimasto nulla, perché di Scuola non resta che il ricordo del Libro Cuore, della Montessori, o di coloro che hanno dedicato la vita al grande progetto educativo convinti del valore inalienabile di esso: la Scuola.
Bene. Allora sarebbe opportuno rivedere l’attribuzione delle cattedre (distribuzione), il luogo ove il docente svolgerà il suo servizio (sede fisica), imporre per legge che oltre i 20 km da casa non si debba andare. E quindi riduzione del numero degli alunni per classe, che significherebbe maggiore organico di fatto, distribuzione più logica ed equa. Significa RIFORMARE tutto il Sistema Scuola.
Il male della Scuola è il suo abbandono, la devianza dal suo progetto e scopo. L’abbandono di quel luogo che da sempre tende ad offrire un lessico, un pensiero critico, un progetto chiamato Futuro. Che raccoglie tutte le classi sociali, perché riconoscente del diritto allo studio per tutti, e che oggi nemmeno le Sue rughe raccontano più.
Noi, da tempo, siamo l’unico mondo lavorativo dove finita la giornata di lavoro, si torna e si ricomincia nuovamente: senza sosta, senza un break: spogliati di tutto e da tutto: famiglia, affetti, una passeggiata, una lettura di un libro, un caffè al bar, uno sguardo e un respiro sul vivere, sulla vita feriale, fatta di molto e molto altro, ove ognuno si riconosce e si esprime, ritrovandosi, come persona, come umanità.
Mario Santoro
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