I lettori ci scrivono

Incipit per un governo capace di riforma della scuola

Riforma didattica e riqualificazione architettonica, benché necessarie, dovrebbero essere subordinate a un’azione politicamente inedita, frutto di piena conoscenza delle dinamiche di una Scuola italiana che arranca tra le macerie della finta autonomia, prodotta dal liceificio morattiano fino alla #buonascuola.
Il Governo, per intervenire efficacemente sull’orizzonte performativo dei suoi giovani, obbiettivo della Scuola, dovrebbe ripartire dal rapporto dell’istituzione con i docenti:

  1. ogni livello di docenza possiede la propria specializzazione: si cancelli il
    pregiudizio, esplicitato con la remunerazione, per il quale a livello superiore sia necessaria una preparazione maggiore del docente;
  2. ridefinire il rapporto docenti/allievi, perché anche il miglior insegnante non può essere efficace con un numero troppo grande di giovani da curare, soprattutto con i più piccoli;
  3. restituire dignità e autorità alla classe docente – l’autorevolezza devono
    costruirla da soli – svilita da una burocrazia instupidente, dall’interferenza delle famiglie, dal ricatto morale della perdita di cattedre e titolarità delle sedi, dalla necessità di reperire fondi anche dai privati, meccanismi che inducono verso promozioni facili per far in modo che un ente di formazione risulti appetibile alle nuove iscrizioni sul territorio;
  4. frenare la progettazione extracurriculare, conseguenza dei denari distribuiti a pioggia, sulla quale ruotano – con l’ennesimo acronimo, Ptof, sic! – pillole di apprendimento metodologicamente poco sintetico che spesso sperperano energie;
  5. costruire una dinamica che incentivi gli insegnanti della scuola ai fini di una progressione possibile: al momento l’unica promozione si realizza con il concorso per dirigente scolastico, ruolo non più primus inter pares, ma scelta di cambiare lavoro per avventurarsi nei meandri di una carriera amministrativa;
  6. restituire pregnanza istituzionale alla sensibilità umanistica, capace di proporre senso e valore a ogni pragmatismo, in primis il talento della cittadinanza – soprattutto ai più alti gradi della formazione -.

Le riforme hanno ridotto viepiù l’autonomia degli insegnanti: tale agire politico ha ottenuto che, in presenza di programmi rigidi, indicatori di valutazione, controlli di qualità, la classe docente tenda ad appiattirsi e a impiegatizzarsi per sfuggire al burn-out: è stato minato il primo aspetto per un docente che voglia risultare vincente ai fini della formazione, ovvero, rendersi paradigmatico per i propri studenti; frenato l’eclettismo didattico, la passione laboratoriale e l’entusiasmo sperimentale storicamente mossi sul campo dai docenti stessi, con cui la scuola italiana si è nutrita; allontanati i migliori.

Gli insegnanti nel dramma della pandemia hanno dimostrato professionalità, capacità di autoformazione tecnologica e metodologica, rendendo possibile la didattica a distanza, portata avanti eticamente e prescindendo dal contratto di lavoro. Rivalutare nell’immaginario collettivo la classe docente si attesterebbe quale azione politica non più masochista, ma finalizzata a ottimizzare la formazione dei giovani e l’azione propositiva della Scuola nella società.

Nicola Tenerelli

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