Riforma didattica e riqualificazione architettonica, benché necessarie, dovrebbero essere subordinate a un’azione politicamente inedita, frutto di piena conoscenza delle dinamiche di una Scuola italiana che arranca tra le macerie della finta autonomia, prodotta dal liceificio morattiano fino alla #buonascuola.
Il Governo, per intervenire efficacemente sull’orizzonte performativo dei suoi giovani, obbiettivo della Scuola, dovrebbe ripartire dal rapporto dell’istituzione con i docenti:
Le riforme hanno ridotto viepiù l’autonomia degli insegnanti: tale agire politico ha ottenuto che, in presenza di programmi rigidi, indicatori di valutazione, controlli di qualità, la classe docente tenda ad appiattirsi e a impiegatizzarsi per sfuggire al burn-out: è stato minato il primo aspetto per un docente che voglia risultare vincente ai fini della formazione, ovvero, rendersi paradigmatico per i propri studenti; frenato l’eclettismo didattico, la passione laboratoriale e l’entusiasmo sperimentale storicamente mossi sul campo dai docenti stessi, con cui la scuola italiana si è nutrita; allontanati i migliori.
Gli insegnanti nel dramma della pandemia hanno dimostrato professionalità, capacità di autoformazione tecnologica e metodologica, rendendo possibile la didattica a distanza, portata avanti eticamente e prescindendo dal contratto di lavoro. Rivalutare nell’immaginario collettivo la classe docente si attesterebbe quale azione politica non più masochista, ma finalizzata a ottimizzare la formazione dei giovani e l’azione propositiva della Scuola nella società.
Nicola Tenerelli
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