Con questo intervento del nostro collaboratore Claudio Berretta apriamo il dibattito sui problemi dell’inclusione come avevamo preannunciato nei giorni scorsi.
Chi lo desidera può inviare il proprio contributo indicando nell’oggetto il titolo di questo spazio (L’INCLUSIONE CHE VOGLIAMO) e scrivendo a info@tecnicadellascuola.it
A distanza di quattro settimane dalla pubblicazione dell’articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 13 gennaio 2024, relativo all’inclusione nella scuola italiana, provo a fare qualche riflessione un po’ più a freddo.
Non tanto freddo in realtà perché l’indignazione nel leggere le sue parole è ancora vivida.
Inizialmente è stata soverchiante, infatti aspettai prima di scrivere, perché non volevo essere troppo impulsivo e poi speravo che altri reagissero alle parole irricevibili, che sembravano prospettare una scuola dell’apartheid, dove gli italiani “sani” potessero imparare senza essere “disturbati” da persone con disabilità, dislessia e perfino da stranieri (!), che avrebbero dovuto avere la loro istruzione separata.
La speranza è stata ben riposta: sono uscite diverse decine di articoli a commento di quell’articolo, quasi tutti fortemente critici verso il pensiero espresso dal noto intellettuale.
Il secondo articolo del noto editorialista e storico (non un competente pedagogista quindi) del 20 gennaio 2024 ha ulteriormente peggiorato la situazione, come ben spiegato da Fabio Bocci sulla rivista superando.it, che (da pedagogista) mette in evidenza i numerosi errori presenti nell’articolo e l’atteggiamento offensivo sia nei confronti degli insegnanti di sostegno che delle persone con disabilità, senza negare le criticità, che vanno colte e affrontate per proseguire un percorso iniziato negli anni ‘70 e che sarebbe un’eccellenza mondiale, se solo fosse realmente applicato lo spirito della normativa: legge 517/1977 e legge quadro 104/1992 solo per citare le due più note e determinanti nel cambiamento di paradigma che ha portato la scuola italiana ad essere un luogo dove un po’ più di prima si sviluppano relazioni di solidarietà e dove tutti hanno opportunità di apprendimento.
Galli Della Loggia probabilmente non immagina nemmeno quanto le soluzioni didattiche individuate per aiutare allievi con disabilità possano migliorare i processi di apprendimento di tutti gli allievi.
Basti pensare al metodo Montessori, nato per aiutare bambini con disturbi mentali, dalle cui scuole sono usciti personaggi di fama mondiale.
Peraltro le tante risposte provenienti non solo dal mondo della scuola e dell’università dovrebbero far riflettere: Animazione Sociale, AID, Anffas, Fish.
Penso sia fondamentale ribadire un concetto: l’inclusione non è un mito; l’inclusione è esperienza quotidiana, appassionata e concretamente realizzata, in tutti quei casi in cui gli insegnanti ci credono davvero, hanno una formazione adeguata e provano ad applicare la normativa italiana che, sì caro Ernesto, è un caso unico al mondo, guardato con ammirazione e parzialmente imitato, anche se ancora nessuno ha avuto il nostro coraggio per provare a realizzare una scuola di tutti.
Nel 2008 mi capitò di parlare con docenti giapponesi, durante un convegno internazionale svoltosi a Torino, i quali mi spiegavano come in Giappone cercassero di introdurre gradualmente gli allievi con disabilità nelle classi di tutti, ispirandosi al modello italiano (Kumiko Takano, Masayo Sonoda, and Kazuhiko Sekita, (2008) Two Ways to introduce CL in special Support Education in Japan, Soka University, JAPAN, Papers from IAIE IASCE Conference, Turin, 2008). Quello che mettevano in discussione non era l’idea di inclusione per tutti, quanto piuttosto l’applicazione errata che avevano visto realizzare in alcune scuole italiane: allievi con disabilità tenuti in un’auletta di sostegno separati dai compagni di classe.
Questo dobbiamo evitare: la separazione, l’esclusione, le micro espulsioni, come le chiama Dario Ianes.
Nel loro intervento i docenti giapponesi riportavano i risultati di esperienze di inclusione di alunni con disabilità utilizzando il Cooperative Learning in classe.
Uno dei metodi di conduzione delle lezioni che permette di valorizzare le diverse abilità di tutti.
Dunque non guardiamo indietro, ma con cognizione di causa e facendo riferimento alle evidenze scientifiche (per esempio il lavoro di John Hattie) cerchiamo di scoprire come aiutare bambine/i e adolescenti ad apprendere, in un contesto scolastico che contribuisca a prevenire bullismo, violenza, baby gang e tutto ciò che fa leva sul desiderio di prevaricazione, proponendo modelli di relazioni umane basate su empatia, solidarietà, democrazia e capacità di migliorare se stessi aiutando gli altri.
Si tratta di un’utopia?
Sì, di un’utopia realizzabile (Yona Friedman, Utopie realizzabili, Quodilibet, Macerata, 2016) , anzi, già realizzata in molte occasioni.
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