“C’è una scuola che fa bene. E’ la scuola che “cura”, che è in grado di lenire le ferite inferte da un sistema (sociale, culturale, politico ed economico) che è sempre più distante dal mondo dell’istruzione e dai suoi bisogni. E’ la scuola che prende vita quando, grazie a ciò che al suo interno si fa e si realizza, si riescono a mettere in ombra e a sopire tutti quegli aspetti difficili, spesso critici, che abbiamo intorno e che un po’ ci soffocano”, queste le parole di un nostro lettore, docente di scuola primaria, che ha voluto raccontarci un’esperienza vissuta dalla sua classe della V. Locchi di Milano che lo ha particolarmente emozionato.
Il giorno 15 Aprile, alcune ragazze e ragazzi del CDD (Centro Diurno Disabili) “Il Melograno” di Milano sono entrati nella classe e hanno letto una storia sull’importanza delle parole. Lo hanno fatto con i loro educatori utilizzando la tecnica del Kamishibai, una tecnica narrativa molto antica che arriva dal Giappone. Con essa lo spettatore viene immerso nella narrazione, vede l’immagine mentre la storia viene letta.
I ragazzi hanno così proposto una storia, “Il peso delle parole”, che facesse riflettere appunto sulle parole, sul loro utilizzo e sulla loro importanza (riflessione sempre molto attuale). L’hanno tradotta anche in CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) per facilitarne la fruizione da parte di tutti i bambini presenti.
“Tutti hanno partecipato attivamente, con il cuore e con la mente. Le bambine e i bambini hanno rielaborato, guidati dai ragazzi del CDD, le proprie esperienze vissute attraverso parole pesanti e leggere. Dopo la lettura, le educatrici e l’educatore presenti hanno proposto un laboratorio: ognuno ha costruito il proprio bagaglio (un fagottino) e lo ha potuto riempire con del materiale leggero e/o pesante (sassi, palline di polistirolo, coriandoli, piume) a seconda della direzione che le proprie riflessioni prendevano. Un fagotto metafora di vita”, ha spiegato il docente.
“Il momento del laboratorio si è configurato come un’importante occasione di rielaborazione della storia letta e del vissuto personale legato alle parole (le bambine e i bambini hanno raccontato i loro pensieri mentre assemblavano il bagaglio). Quello che ho visto e vissuto, e torno alla scuola che fa bene e che dà speranza, è stato un autentico momento di inclusione. Un’inclusione a tutto tondo, attiva, partecipata, vissuta e messa in pratica. Rielaborata nelle sue trame più autentiche e profonde, quelle legate al bagaglio personale esperienziale e ai suoi echi interiori. Inutile nascondere che la commozione è stata forte. Ci siamo commossi (non solo io) perché, come dicevo, abbiamo visto la bellezza. Quella bellezza che è in grado di creare l’eufonia data dalla percezione di un mondo migliore”, ha concluso.
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