Indennità di rischio e sicurezza dell’ambiente di lavoro sono temi classici del sindacalismo italiano. Le questioni sono intrecciate fra di loro e su di esse si è sviluppato nel corso dei decenni un intenso dibattito molto variegato.
Negli anni del boom economico se ne parlava molto, nelle fabbriche del nord, soprattutto a Torino.
Una testimonianza l’abbiamo raccolta da Gianni Marchetto che era operaio a Fiat Mirafiori già negli anni Sessanta quando la Fiom-Cgil aveva iniziato ad occuparsi del tema della sicurezza dell’ambiente di lavoro.
Nel 1961, nel corso di un importante convegno svoltosi in una cittadina dell’hinterland torinese era stata coniata la parola d’ordine “La salute non si vende”.
“Molti dei nostri stessi compagni di lavoro – racconta Marchetto – erano perplessi, e qualcuno diceva che la salute la stavano regalando alla fabbrica e quindi se il padrone era disposto a pagare una indennità loro sarebbero stati ben contenti. Noi della Fiom rimanemmo fermi sulla nostra posizione spiegando che se avessimo ceduto, il padrone non avrebbe certamente investito in prevenzione e misure di sicurezza. Gli altri sindacati erano un po’ lontani da noi, ma riuscimmo a trovare una buona intesa con una parte consistente della Fim-Cisl e andammo avanti”
“In quegli anni – prosegue – uno dei nostri ‘consulenti’, diciamo così, era Ivar Oddone, medico del lavoro, medico e docente universitario, che ci aiutò a scrivere un importante documento intitolato proprio ‘La salute non si vende’ che venne pubblicato nel 1969. La pubblicazione diventò uno strumento di lavoro importante per tanti e così nel 1971 ne uscì una edizione aggiornata a firma di tutti e tre i sindacati confederali”.
Poi nel 1970 il Parlamento approva lo “Statuto dei lavoratori” e le cose iniziano a cambiare, ma il volumetto della Fiom del 1969 continua a circolare e a fare scuola tanto da essere rieditato nel 2006, segno tangibile della sua attualità e modernità.
“D’altronde – ricorda ancora Gianni Marchetto – la nostra ‘linea’ risultò vincente perchè negli anni ’70 in moltissime aziende del nord e non solo furono investite risorse consistenti per bonificare e adeguare gli ambienti di lavoro. La stessa legge 833 del 1978 con cui nasce il Servizio Sanitario Nazionale parla di medicina del lavoro: anche quello fu il risultato di quanto fatto negli anni 60-70″.
Possiamo ben dire che il decreto 626/94 e il più recente 81/2008 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro affondano le loro radici proprio nel dibattito politico e sindacale di quel periodo.
Sul tema ha molto da dire e raccontare anche Wolfango Pirelli, della Cgil Lombardia, che fra il 2006 e il 2009, all’epoca di Enrico Panini, ha anche fatto parte della segreteria nazionale della Flc.
Pirelli, attualmente responsabile nazionale della Associazione Ambiente Lavoro, afferma: “Io credo che la richiesta di una indennità di paura o di rischio sia sbagliata; penso che si debba fare attività di prevenzione bisogna investire risorse anche sulla formazione. Se poi vogliamo riconoscere una indennità vera, dovremmo introdurre una indennità legata al fatto che oggi i docenti stanno sperimentando un rapporto nuovo fra insegnamento e apprendimento; il covid, infatti, ha cambiato oggettivamente i rapporti e le relazioni fra docenti e ragazzi e quindi valorizzare le esperienze migliori sarebbe molto utile. Questa sarebbe una prospettiva che guarda al futuro, mentre l’indennità di rischio mi pare che guardi al passato”
L’idea dell’indennità di rischio sembra un po’ lontana dallo slogan “La salute non si vende” (slogan che in realtà era ben più di uno slogan, era un nuova visione del rapporto fra lavoratore e ambiente di lavoro). E così ?
“Certamente – afferma Pirelli – e non a caso, in quegli anni, a parlare di indennità erano soprattutto i sindacati corporativi che cercavano la strada più breve. D’altronde lo stesso Maurizio Landini, non molti giorni ha fatto in proposito una battuta fulminante: ‘E perché mai dovrei accettare l’indennità di rischio per morire prima?’. Ecco, io credo che dobbiamo riflettere su questo: indennizzare il rischio consente in qualche misura al datore di lavoro di non occuparsi seriamente del tema della sicurezza”.
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