I lettori ci scrivono

Indicazioni nazionali 2025: bene sulla lingua italiana, la “scrittura democratica” è solo fuffa

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Diceva Cesare Beccaria: “Peggio dell’ignoranza è un confuso sapere”.
Dal mio punto di vista è proprio un confuso sapere quello che è stato prodotto dalla scuola negli ultimi trent’anni. Sì, mi riferisco alle tante riforme che non avevano niente di pedagogico ma molto di ideologico, fatalmente orientate a sinistra. Oggi abbiamo una scuola genuflessa al sentire ideologizzato di chi continua a brandire i concetti di democrazia e libertà contro ogni forma di giusto rigore e limitazione dei propri istinti.

La professoressa parla di scrittura democratica e creativa che, a quanto sembra, dovrebbe fare a meno dello studio della grammatica e della sintassi. Dopo decenni di scuola democratica abbiamo dati allarmanti sull’analfabetismo di ritorno: giovani adulti che non capiscono quello che leggono, che hanno grandi difficoltà a comporre anche un breve testo scritto, faticano a risolvere una divisione e non sanno niente di storia e geografia.

Si è gridato il fastidio e il tedio del sapere nozionistico perché soffoca il pensiero critico, ma senza la conoscenza della nozione su che cosa lo si dovrebbe esercitare il pensiero critico? La conoscenza non può prescindere dal dato oggettivo che si tratti di scienze naturali, formali o storico/sociali.

Nella dimensione didattica il riassunto viene infamato come una cianfrusaglia del passato e, per ciò, superato: superato da cosa? Un riassunto ben fatto ci dà la misura di quello che si è compreso di un testo letto e ci obbliga ad una sintesi comprensibile a chi quel testo non l’ha letto. Cosa c’è di sbagliato in questo? Quale altro metodo didattico con tali obiettivi formativi sostituisce e supera il riassunto?

Chiedo alla professoressa Loiero: perché il saper scrivere senza errori sarebbe incompatibile con il pensiero libero e riflessivo? Scrivere senza errori significa padronanza della lingua e, con essa, maggiore facoltà di esporre il proprio pensiero. Come la nobiltà, la conoscenza obbliga: a non parlare a vanvera.

Cosa significa, poi: “C’è il rischio di una riduzione della lingua a un sistema rigido di norme, dove la creatività, il pensiero critico e la pluralità linguistica rischiano di restare fuori dalla porta”? Una lingua lo è di suo un sistema rigido di norme, un sistema costituitosi ed evolutosi nel corso dei secoli e dei decenni. Le regole linguistiche rispecchiano un modo di ragionare e concepire il mondo, lo sa bene chi ha studiato greco e latino. I secoli hanno forgiato comportamenti verbali a differenza delle mode che coniano atteggiamenti verbali. La differenza fra i due concetti è ampia e profonda.

La scuola cara all’ideologia di sinistra è quella di matrice “contestataria”, antisistema, che vede nell’istituzione scolastica un nemico da assoggettare ai propri diktat. Don Milani, citato dalla professoressa, ne è stato un esempio: egli proveniva da una famiglia agiata di cui l’uomo detestava l’impostazione borghese, così come non amava le gerarchie e la dottrina della Chiesa. Milani ha avuto senza dubbio i suoi meriti, ma la sua scuola insegnava prevalentemente mestieri e competenze manuali, e in questo non c’è niente di sbagliato, ma poco aveva a che fare con il pensiero critico a cui fa riferimento la professoressa.

Nell’era dell’opinione personale assunta e imposta come verità assoluta, i maestri non sono amati. La professoressa Loiero vede nell’errore una ricchezza, ed è vero, ma lo è quando si viene corretti e ci fanno comprendere le ragioni per le quali si è caduti nell’errore.

Contrariamente a quanto è emerso nell’intervista alla professoressa Silvana Loiero, io mi pongo a favore di queste nuove indicazioni sull’insegnamento della lingua che, per quanto sicuramente migliorabili, hanno il merito di tentare il recupero di un’impostazione didattica pertinente ed efficace per il suo apprendimento. Scrivere correttamente significa saper organizzare i propri pensieri e renderli comprensibili a chi li legge.

La scuola va protetta da coloro che vogliono farne un salotto di scambio d’opinioni fra docenti e discenti, dove i secondi, insieme ai genitori, dettano argomenti, tempi, regole e condizioni: il regno democratico del caos.

Fabio Fineschi

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