Il documento sulle Nuove Indicazioni Nazionali contiene anche un paragrafo sulla valutazione.
Ne parliamo con Cristiano Corsini, docente di pedagogia sperimentale all’Università di Roma 3.
Professore, io partirei da una definizione che le Indicazioni nazionali danno della valutazione: “In quanto atto pedagogico culturale regolativo che pone al centro la valorizzazione dello studente la valutazione non si esaurisce nel rilevare e misurare ciò che l’alunno sa o sa fare, ma diviene strumento che mira a far emergere progressi criticità e potenzialità inespresse”. Come commenta questa definizione?
Sul fatto che la valutazione abbia un carattere culturale, pedagogico e regolativo possiamo essere concordi, però definire la valutazione un atto è rischioso, perché in realtà la valutazione è un processo.
E c’è anche un altro limite: il titolo del paragrafo parla della valutazione come atto di valorizzazione. Quest’ultimo termine rischia di enfatizzare la funzione premiale, punitiva, sommativa.
C’è anche un altro punto: parlare di funzione regolativa va bene, ma forse bisogna anche mettersi d’accordo su cosa si deve regolare. Secondo i migliori orientamenti della pedagogia la valutazione dovrebbe servire a regolare non soltanto i processi di apprendimento, ma soprattutto quelli di insegnamento. Mi sembra che su questo aspetto il documento sia carente. Cosa ne pensa?
Sono d’accordo: è molto carente. Sebbene la valutazione formativa venga richiamata anche in altre parti delle Indicazioni, parlarne in questo modo serve a poco.
Negli anni Sessanta e Settanta i grandi esperti che per primi hanno usato questa espressione come Michael Scriven o Benedetto Vertecchi affermavano che la valutazione è formativa se è finalizzata a dare forma all’insegnamento.
L’insegnante, cioè, usa la valutazione per regolare la propria didattica, perché la bontà della didattica non può essere data per scontata. Ma di tutto questo nel documento della Commissione Perla non c’è traccia ed è un peccato, perché a mio avviso le Indicazioni dovrebbero riguardare questo processo, che peraltro è ribadito come fondamentale da una parte importante della nostra normativa (pensiamo al decreto legislativo 62 del 2017).
E poi c’è anche un’esigenza di carattere scientifico che riguarda la pedagogia sperimentale, che da decenni si occupa di valutazione scolastica. Tra i suoi padri c’è Aldo Visalberghi, che diceva che chiunque creda nella bontà assoluta dei metodi che usa e dei fini che si pone e non è pronto a modificare gli uni e gli altri sulla base dell’esperienza non è un buon insegnante.
Insomma, se si vuole che la valutazione abbia esiti formativi per gli studenti deve avere una funzione analoga anche per i docenti: ed è proprio su questo che mi sembra che il documento sia un po’ carente.
A proposito di Aldo Visalberghi di cui lei è un attento studioso dobbiamo ricordare che a giugno 2025 ricorrono esattamente 70 anni dalla pubblicazione del suo libro Misurazione e valutazione. Le faccio una domanda che è poco più che un gioco: cosa direbbe oggi Visalberghi se dovesse leggere questo capitolo sulla valutazione?
Ovviamente è molto difficile rispondere, forse avrebbe dei rilievi sostanziali da fare. Probabilmente apprezzerebbe alcune parti perché, per esempio, il paragrafo contiene anche un bel passaggio sulle competenze. Forse non sarebbe d’accordo sulla funzione assegnata alla valutazione; la funzione regolativa, infatti, viene genericamente attestata, ma se poi siamo prescrittivi sugli obiettivi e persino sui contenuti è evidente che il tutto si fa incoerente. Se si propongono indicazioni che sono di fatto prescrittive su obiettivi e addirittura su contenuti non si può poi pretendere che l’insegnante usi in maniera autentica la valutazione come elemento formativo e non come strumento burocratico classificatorio e selettivo. C’è una contraddizione legata a quanto espresso nel paragrafo sulla valutazione; c’è insomma un contrasto insanabile fra il paragrafo sulla valutazione e il resto del documento. Da questo punto di vista il testo è inemendabile, perché le contraddizioni sono strutturali.
Veniamo ad un altro aspetto importante. Nel capitolo sulla valutazione si accenna anche alla autovalutazione dell’alunno, ma mi sembra che anche in questo caso manchi qualche cosa. Cosa ne pensa?
Se nel paragrafo cerchiamo l’autovalutazione, prendiamo atto che il riferimento si riduce a una nota. Poi per alcune discipline suggeriscono delle attività autovalutazione, ma questo vuol dire che l’autovalutazione non è attestata come processo imprescindibile, generalizzato e sistematico. Eppure, ormai da decenni le ricerche empiriche evidenziano che senza autovalutazione l’apprendimento ha minori possibilità di riuscita.
Cosa più importante, la marginalizzazione della autovalutazione contraddice anche la normativa: per esempio nello Statuto delle studentesse e degli studenti del ’98, esteso anche alla secondaria di primo grado, afferma che la valutazione deve servire ad attivare un processo di autovalutazione che consenta allo studente di individuare punti di forza e di debolezza e di migliorare. E anche per il 62/2017 l’autovalutazione è fondamentale.
Volendo formulare un primo giudizio lei cosa si sente di dire?
Mettendo insieme quello che c’è scritto nel paragrafo sulla valutazione con tutto quello che fa da contorno mi pare che emerga un modello di valutazione che contiene alcuni principi generali condivisibili ma che di fatto appare centrato sulla “valorizzazione dello studente” senza curarsi troppo di dare forma all’attività didattica. È lo stesso modello di valutazione che ha portato al questionario sulle Indicazioni inviato alle scuole e che impedisce a dirigenti e docenti di esprimere critiche nei confronti del lavoro svolto dalla commissione.
Un modello del genere non fa altro che confermare una valutazione con funzione prevalentemente di controllo e di selezione. In definitiva si rischia di legittimare la riproduzione delle differenze di partenza che sono poi quelle che impediscono di rimuovere gli ostacoli per il pieno sviluppo della persona umana.
Diciamo che c’è il rischio che queste Indicazioni che possano legittimare una scuola come fabbrica dei voti? E uso questa espressione non a caso perché si tratta esattamente del titolo del suo libro di prossima uscita.
La scuola come fabbrica dei voti è purtroppo una realtà estremamente diffusa; l’idea di usare la valutazione per classificare o per scegliere i più bravi ed espellere i meno bravi è ancora radicata, e la lettura di queste Indicazioni sembra confermare questa direzione.
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