
Uno dei capitoli più discussi della bozza delle nuove Indicazioni nazionali è quello che riguarda l’insegnamento della storia, capitolo redatto dalla sottocommissione coordinata dal professore Ernesto Galli Della Loggia.
Ne parliamo con Antonio Brusa, già docente di didattica della storia all’Università di Bari e ora presidente della Società italiana di didattica della storia.
Professore, l’apertura di questo capitolo già sta facendo molto discutere anche perché forse i non esperti non capiscono neanche bene che cosa voglia dire. La frase in questione è “Solo l’occidente conosce la storia”: ma cosa significa esattamente questa espressione?
Intanto va detto che questa frase poteva avere qualche senso nell’Ottocento, ma non oggi perché adesso in tutti i paesi del mondo si produce e si studia storia. Proprio in questi giorni, sono intervenuti in rete molti orientalisti che sono profondamente irritati da questa affermazione, ricordando a tutti i numerosi scrittori di storia sorti nelle diverse civiltà extraeuropee. Diciamo che questa affermazione poteva essere creduta in Europa ai tempi di Hegel secondo il quale solo l’occidente godeva di una storia intesa come un processo evolutivo.
D’altra parte molti grecisti (cito Canfora fra tutti) ci ricordano che i Greci si facevano belli per aver inventato tutto, anche la storia, quando in realtà beneficiavano della cultura del Vicino Oriente e del mondo persiano.
Ma quindi questa frase è completamente sbagliata?
La frase con la quale Galli Della Loggia ha deciso di aprire il capitolo è però sostenibile in un caso.
Nell’ 800, infatti, la storia è stata usata come strumento di “Nation building” cioè come racconto non in funzione cognitiva ma in funzione identitaria. Quindi, è servita per costruire una identità collettiva per una massa di persone che non aveva la benché minima idea di appartenere ad una “superfamiglia” (come dice Benedikt Anderson) nazionale. Galli della Loggia vuole ripetere per i nostri giorni quell’operazione, soprattutto nei confronti degli immigrati che – sostiene – dopo aver ascoltato la storia di Muzio Scevola si innamoreranno di questo Paese e diventeranno italiani.
E così si capisce anche il motivo dell’astio di questa commissione nei confronti delle Indicazioni del 2007 e del 2012. Quelle indicazioni, infatti, hanno un carattere cognitivo e invitano proprio a combattere l’asservimento della storia ad una funzione identitaria.
Professore, parliamo anche di un aspetto metodologico-didattico non secondario: nel capitolo sulla storia si dice chiaramente che almeno al livello della scuola primaria l’uso dei documenti è del tutto sbagliato, perché bambini e bambine di 8, 9 o anni non hanno la capacità di usare criticamente le fonti; a quell’età la storia è soprattutto racconto, narrazione. Cosa ne pensa?
Queste Indicazioni hanno due obiettivi. Il primo è quello di introdurre una storia identitaria e di questo abbiamo già detto. E poi c’è anche l’intenzione di contrastare i tanti gruppi, minoritari ma corposi, che per decenni si sono battuti per il rinnovamento della didattica, anche in chiave laboratoriale, e che trovarono il loro primo conforto nei programmi della scuola media del 1979 e in quelli delle elementari del 1985. La convinzione di Galli della Loggia, espressa in molti suoi scritti, è che la crisi della scuola dipenda proprio da questi gruppi. Tuttavia, si deve notare che questi gruppi sono rimasti minoritari e che la maggior parte dei docenti pratica il cosiddetto modello tradizionale: lezione/manuale/interrogazione. Quindi, se c’è una crisi, è a questi insegnanti che va imputata. Ora, la gravità di queste indicazioni è che incoraggiano a proseguire in questa pratica, che l’esperienza storica dovrebbe dichiarare come negativa, mentre contrastano coloro che vorrebbero trovare soluzioni alternative.
Probabilmente c’è persino il rischio di dare spazio a interventi invasivi delle famiglie. Faccio un esempio: per la seconda classe della primaria di prevede di parlare dei Martiri di Belfiore e della Piccola vedetta lombarda. Possiamo quindi aspettarci che se un docente dovesse decidere di non parlarne, un genitore della classe vada dall’insegnante a protestare.
Esattamente, è proprio così. La libertà di insegnamento potrebbe esserne limitata. L’insegnante innovatore si troverà schiacciato fra genitori che protestano, colleghi tradizionali che saranno galvanizzati da queste Indicazioni e amministrazione che con ogni probabilità avrà mandato per spingere verso un’interpretazione coercitiva delle Indicazioni.
Queste Indicazioni sono un po’ troppo eurocentriche?
Per la verità c’è nelle Indicazioni un programma fatto bene ed è quello di geografia. È proprio il caso di complimentarsi con Riccardo Morri e i membri della sua commissione. Basti pensare che il capitolo sulla geografia si apre ricordando che un tempo questa serviva a “creare il cittadino italiano”, mentre adesso può aiutare gli allievi a conoscere il mondo.
Ma allora c’è una bella contraddizione fra il programma di storia e quello di geografia?
Direi proprio di sì: nel programma di geografia, ogni volta che si nomina l’Italia si aggiunge “e le sue relazioni con il mondo”. Ogni volta che nel programma di storia si parla di “mondo”, si dice che è troppo difficile e che non si può studiare.
Ultima questione: mi sembra che le nuove Indicazioni siano molto centrate sui contenuti, e questo, anche sotto il profilo normativo, è un errore. Il vecchio Regolamento dell’autonomia del 1999 prevede infatti che il Ministero possa e debba definire le finalità formative del sistema scolastico lasciando però alle scuole piena libertà nella costruzione del curriculum di istituto. Cosa ne pensa?
L’osservazione è giusta e credo che nella Commissione se ne sia discusso, tanto che la stessa presidente Loredana Perla ha fatto più di una precisazione pubblica su questo e ha anche inserito nella premessa un passaggio per sottolineare il ruolo del docente come curriculum maker.
Ma le scappatoie sono tante: inserire i contenuti fra gli obiettivi, o produrre una lista di argomenti talmente lunga e dettagliata, che difficilmente un docente, un familiare, quando non una casa editrice, penseranno che si tratta solo di suggerimenti. Più volte Galli della Loggia ha espresso la sua avversità nei confronti dell’autonomia scolastica. Queste Indicazioni lo dimostrano.
Nelle prossime settimane dovrebbe prendere avvio la consultazione di scuole, docenti, associazioni, mondo accademico e vedremo se tutti questi soggetti riusciranno a strappare qualche modifica.
Io ci spero. Ma finora in tanti siamo già intervenuti per sottolineare errori e punti di deboli, con osservazioni delle quali la Commissione non ha affatto tenuto conto. Si può controllare: il testo riproduce alla lettera molte anticipazioni sulle quali tutti avevamo espresso le nostre perplessità.