Attualità

Indicazioni Nazionali, Mario Ambel (già direttore di Insegnare): “Sono da respingere al mittente” [INTERVISTA]

Sulle Indicazioni Nazionali per il primo ciclo si sta sviluppando un bel dibattito pedagogico ma anche politico. I nodi che stanno emergendo sono molteplici e riguardano sia l’impianto culturale sia le scelte istituzionali.
Ne parliamo con Mario Ambel, a lungo docente di scuola “media”, poi secondaria di I grado, già Direttore della rivista “Insegnare“; è stato anche Presidente dell’IRRSAE Piemonte.

Nel corso della sua lunga carriera lei si è imbattuto in quasi tutti i programmi e tutte le Indicazioni. C’è un aspetto del documento della Commissione Perla che le sembra strutturalmente diverso da tutto quello che aveva letto finora?

Direi proprio di sì: bisogna subito dire che le Indicazioni nazionali tali sono, non perché devono corrispondere all’idea di Nazione e di scuola della maggioranza, ma perché devono riguardare l’intero Paese. Ho partecipato alla Commissione Brocca, ho coordinato l’area linguistico-letteraria e una sottomissione dell’area secondaria di II grado delle Commissioni De Mauro, ma mai ci saremmo sognati di produrre un tale arbitrio istituzionale. Non ne avevamo mandato. Oltre tutto si definiscono indicazioni, ma sono a tutti gli effetti “programmi” e anche in molte parti anche ipertrofiche.

Lei vuol dire che con questo documento si va addirittura al di là di quanto il Ministero potrebbe e dovrebbe fare in materia di “programmi scolastici” ?

Proprio così. Stiamo ai fatti. La Costituzione stabilisce chiaramente che lo Stato “ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie”: … m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull’istruzione; e comunque “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” ; oltre al fatto che la libertà d’insegnamento è garantita dalla Costituzione e che la stessa prescrittività delle indicazioni comporta precisi limiti.

E quindi?

Mi sembra chiaro che una parte assai consistente di questo testo debordi da tale limite costituzionale, sia per quanto riguarda l’invasività su terreni che competono alla libertà professionale delle e dei docenti, all’autonomia delle scuole in quanto organismi istituzionali di rango costituzionale, dotati di autonomia di ricerca, di sperimentazione; sia per quanto riguarda l’interpretazione e le linee di indirizzo su argomenti specifici, che competono al confronto e alla crescita culturale della e nella scuola e non possono, come in questo caso, essere elaborati con eccessivo ed evidente posizionamento di parte.

Quello che dice riguarda gli aspetti politico-istituzionali dell’operazione e si potrebbe obiettare che il Governo ha il diritto/dovere di intervenire sulle finalità complessive del sistema scolastico…

Il fatto è che dal punto di vista culturale e pedagogico il testo si pone in netto contrasto con la storia della scuola pubblica e le linee di indirizzo su cui si è mossa nel dopoguerra, soprattutto sui documenti istituzionali e programmatici e nel dibattito culturale e professionale.

Facciamo qualche esempio

Se ne possono fare tanti, a partire dalla idea di scuola, di docente e di allievo che emerge dal documento; idea in perfetta rotta di collisione rispetto alla elaborazione e al dibattito di almeno 60 anni di storia, a partire dalla istituzione della “scuola media unica”.
Ci sono casi eclatanti, come il programma di storia, o della presenza del “latino per l’educazione linguistica”, ma non si salva neppure la matematica; Per non parlare della volontà di rescindere la geostoria risolta in due programmi in palese contraddizione fra loro, che se adottati trasformerebbero il loro insegnamento nella scuola di base in un inedito contesto schizofrenico, per altro su tematiche di estrema attualità, rilevanza e delicatezza.
Ma hanno sollevato serie riserve anche il modo di affrontare e gestire l’ambito delle disabilità e in generale il tema delle disuguaglianze. I commenti, le analisi e i documenti che si vanno moltiplicando in queste ore lo testimoniano.

C’è chi sostiene che queste Indicazioni sono poco applicabili. Lei cosa ne pensa in proposito?
A me sembra che il testo riveli una sostanziale conflittualità con la consistenza reale delle scuole e delle classi attuali, cui ai docenti tocca per dovere e non per diritto commisurare il loro progetto educativo. Se vale ancora l’idea (e la norma) che le indicazioni nazionali vanno rapportate alla realtà in cui si opera (come per altro anche detto nel testo e non potrebbe essere altrimenti) una quantità consistente delle cose scritte è semplicemente inapplicabile o apparirebbe totalmente in conflitto con le realtà esistenti. E le scuole che volessero applicarle andrebbero incontro a seri problemi e fallimenti educativi.

Insomma, un documento incoerente e contraddittorio …

Non del tutto: dal punto di vista politico il testo è certamente coerente con le idee e il programma di questo governo e delle forze politiche e associative che lo sostengono e vi si riconoscono, ma non è tra le prerogative attuali del governo redigere un programma palesemente e smaccatamente di parte. La scuola pubblica appartiene alla Repubblica, non alla coalizione che vince le elezioni. E queste “Indicazioni” non possono essere imposte all’intero paese e alle scuole.

E allora cosa si sente di dire e suggerire a chi è ancora a scuola e dovrà in qualche modo “usare” queste Indicazioni?

Bisogna prendere atto che l’operazione complessiva appare sostanzialmente irricevibile e dunque va respinta al mittente. Non credo che sia praticabile la strada di revisioni, emendamenti, compromissioni. Mi auguro che chi lavora con serietà, competenze professionali e rispetto delle norme possa non vederle emanate. E che, in ogni caso, nella loro autonomia, le scuole continuino nel lavoro di ricerca, studio e sperimentazione, possibilmente cooperativa e collegiale, non tenendo conto di tutto quanto, in questo testo, non compete alle “indicazioni” perché confligge con l’autonomia scolastica e la libertà d’insegnamento. Ed è molto.

Reginaldo Palermo

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