Attualità

Indietro tutta, la scuola secondo Galli Della Loggia

Ieri, sul Corriere della Sera, il professore Ernesto Galli della Loggia ha pubblicato alcune riflessioni sulla Scuola, declinandole sotto forma di semplici consigli al neoministro del neogoverno che ha fatto della parola “cambiamento” il suo motto e filo conduttore.

Peccato che questo cambiamento, nella versione del professore della Loggia, invece che proiettare la Scuola verso le sfide e i cambiamenti del nuovo millennio, la riporta, a nostro avviso, agli anni precedenti i decreti delegati del 1974.

In sintesi, i dieci consigli al ministro Marco Bussetti sono i seguenti:

  1. Reintroduzione in ogni aula scolastica della predella, in modo che la cattedra dove siede l’insegnante sia di poche decine di centimetri sopra il livello al quale siedono gli alunni.
  2. Sempre a questo principio deve ispirarsi la reintroduzione dell’obbligo per ogni classe di ogni ordine e grado di alzarsi in piedi in segno di rispetto (e di buona educazione) all’ingresso nell’aula del docente
  3. Divieto deciso nei confronti di tutte le «occupazioni» più o meno simboliche e delle relative autogestioni che ormai si celebrano da decenni come un tempo la «festa degli alberi
  4. Cancellazione di ogni misura legislativa o regolamentare che preveda un qualunque ruolo delle famiglie o di loro rappresentanze nell’istituzione scolastica.
  5. Divieto di convocare gli insegnanti ad assemblee, riunioni, commissioni e consigli di qualunque tipo per più di tre o al massimo quattro volte al mese. La scuola non deve essere un riunionificio.
  6. Sull’esempio del Giappone, affidamento della pulizia interna e del decoro esterno degli edifici scolastici agli studenti della scuola stessa.
  7. Per superiori ragioni di igiene antropologico – culturale divieto assoluto agli studenti (pena il sequestro) di portare non solo in classe ma pure all’interno della scuola lo smartphone.
  8. Obbligo per tutti gli istituti scolastici di organizzare e tenere aperta ogni giorno per l’intero pomeriggio una biblioteca e cineteca con regolari cicli di proiezioni, utilizzando, se necessario, anche studenti di buona volontà.
  9. Alle gite scolastiche sia fatto obbligo di scegliere come meta solo località italiane. Che senso ha per un giovane italiano conoscere Berlino o Barcellona e non aver mai messo piede a Lucca o a Matera? L’Europa comincia a casa propria.
  10. Istituti e «plessi scolastici» devono essere intitolati al nome di una personalità illustre e devono essere designati in tutte le circostanze e in tutti i documenti con tale nome, non già (come avviene oggi più di una volta) con un semplice numero o l’indicazione di una via. In fin dei conti anche ai più giovani forse non dispiace avere un passato.

Se alcuni di questi consigli, come i numeri 3, 5, 8 e 10 possono essere condivisibili (anche se per il numero 8 qualcuno potrebbe obiettare che non esistono le risorse finanziarie per tenere aperti il pomeriggio tutti gli istituti) alcuni altri ci sembrano davvero frutto di improponibili nostalgie.

Si legga, ad esempio, il numero 4, secondo il quale dovrebbe essere soppressa ogni forma di partecipazione alla vita scolastica da parte delle famiglie. Ma come? Emerge da ogni dove la necessità di coinvolgere sempre di più le famiglie nella vita scolastica dei propri figli, facendo in modo che si attuino delle sinergie sempre più intense e significative, volte ad evitare che ciascun attore del percorso (scuola e famiglia) percepisca l’altro come controparte su cui scaricare rabbia, frustrazioni, incapacità a gestire rapporti didattici e relazionali.
Con le conseguenze che conosciamo bene e che occupano in questi giorni le prime pagine dei giornali e i palinsesti televisivi.
Ma come?
Buttiamo alle ortiche il lavoro, la passione, l’impegno politico di una generazione di studenti e di docenti grazie ai quali abbiamo oggi una scuola democratica e partecipativa?

Il consiglio numero 1 farebbe addirittura sorridere se non fosse così tanto inquietante. Il professore della Loggia aggiunge – citando Hannah Arendt –  che il rapporto pedagogico non può essere costruito che su una differenza strutturale e non può implicare alcuna forma di eguaglianza tra docente e allievo. La sede propria della democrazia non sono le aule scolastiche.
Ma allora, se non sono sedi di democrazia, di cos’altro dovrebbero essere sedi le aule scolastiche? Di totalitarismi? Di silenzio e coercizione?
Vogliamo reintrodurre le vecchie lavagne in modo da ripristinare le buone e care punizioni di una volta? Una cattedra più alta rispetto ai banchi darebbe autorevolezza a chi non ce l’ha? Ah, no, scusate, il professore forse parlava di autorità, più che di autorevolezza …

Consiglio 6, agli alunni sia affidata la pulizia della scuola! E che ne facciamo dell’esercito di collaboratori scolastici (statali, ex provinciali, delle cooperative) che hanno il compito di tenere puliti i nostri istituti scolastici? Non è dato sapere. Ma a parte questo piccolo particolare, il professore della Loggia, cita, a supporto del suo consiglio, il Giappone. Non aggiungendo, tuttavia, che il sistema scolastico Giappone è uno dei più rigidi e selettivi al mondo, che carica di ansie e aspettative alunni e famiglie, un sistema in cui l’altissimo livello di competizione causa ogni anno centinaia di suicidi nella fascia 15-20 anni. I ragazzi facciamoli studiare, per questo vanno a scuola, e facciamo lavorare i bidelli.

Vogliamo parlare del numero 9? Vero è che l’Italia va (ri)scoperta, ma è altrettanto vero che il sia fatto obbligo di scegliere come meta solo località italiane ha un forte sapore patriottico nel senso più deteriore del termine. E tutti i progetti di scambio e mobilità europei?
I Comenius che hanno consentito a milioni di alunni di visitare l’Europa, gli altri sistemi scolastici, i loro coetanei francesi, inglesi, spagnoli? E che facciamo, chiudiamo le frontiere? Mah!

Insomma, c’è l’imbarazzo della scelta, occorrerebbe uno spazio ben più ampio di questo per discuterne. I nostri lettori, sensibili a queste tematiche, potranno – se lo riterranno opportuno –  approfondire la questione, aprendo un dibattito più ampio.

Gabriele Ferrante

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