Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat la spesa dei Comuni per i servizi socio-educativi destinati alla prima infanzia è in diminuzione: nel 2014 gli enti locali hanno speso infatti per questa voce 1 miliardo 482 milioni di euro, il 5% in meno rispetto all’anno precedente.
Le unità che offrono servizi per i bambini al di sotto dei tre anni sono complessivamente 13.262 unità, il 36% è a gestione pubblica mentre il restante 64% è gestito da soggetti privati.
I posti disponibili cono poco meno di 360mila e coprono il 22,8% del potenziale bacino di utenza (i bambini sotto i tre anni residenti in Italia).
Le famiglie contribuiscono ai costi del servizio in misura sempre crescente: dal 2004 al 2014 la quota è infatti passata dal 17,4 al 20,3% della spesa.
Permangono poi differenze significative fra il Mezzogiorno e il resto del paese: al Nord-est e al Centro Italia i posti censiti nelle strutture pubbliche e private coprono il 30% dei bambini sotto i 3 anni, al Nord-ovest il 27% mentre al Sud e nelle Isole si hanno rispettivamente 10 e 14 posti per cento bambini residenti.
Analogamente ci sono differenze importanti nella spesa che i comuni affrontano: fra i Comuni capoluogo con una spesa particolarmente alta si segnalano a Trento, con 3.545 euro per bambino residente, Venezia con 2.935, Roma con 2.843 e Aosta con 2.804 euro.
Somme pressoché irrisorie si spendono invece in Calabria: 19 euro a bambino a Reggio, 38 a Catanzaro (38 euro) e 46 a Vibo Valentia.
In realtà, almeno sulla carta, l’Italia non è particolarmente indietro sulle politiche per la primissima infanzia rispetto ad altri Paese europei, come peraltro documentato anche da diverse indagini di Eurydice.
Tuttavia Garantire i diritti dell’infanzia e delle famiglie sta diventando sempre più difficile anche a causa della difficile situazione economica; resta da capire se il piano sul sistema di istruzione 0-6 anni varato con la legge 107 riuscirà a fornire una risposta soddisfacente.
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