In altre parole è stata loro praticata l’infibulazione, con asportazione della clitoride e delle grandi labbra e la cucitura quasi totale della vulva, in modo da rendere molto dolorosi i rapporti sessuali.
Si ricorda che le origini delle mutilazioni femminili sono legate a tradizioni dell’antico Egitto (da qui il nome di infibulazione faraonica). Si calcola che in Egitto, nonostante la pratica sia vietata, ancora oggi tra l’85% e il 95% delle donne abbia subito l’infibulazione. La Somalia, dove la pratica è diffusa al 98%, è stata definita dall’antropologo de Villeneuve le pays des femmes cousues, il paese delle donne cucite.
Tornando nella civilissima Svezia, si dice che a scoprire tali mutilazioni siano stati i servizi sanitari di Norrköping, città di 80 mila abitanti; infatti, durante i colloqui periodici con le studentesse è venuto fuori che 60 bambine tra i 4 e i 14 anni hanno subito queste azioni condannabili, e la metà di loro frequenta la stessa classe. In Italia, dove si stima che vittime di tali pratiche siano circa 40mila, la legge n. 7 del 9 gennaio 2006, vieta la mutilazione genitale femminile, punendo chi la pratica con pene fino a 12 anni di reclusione e, per il medico che ne fosse autore, con l’interdizione dalla professione. Secondo l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), nel nostro Paese ci sarebbero ancora alcuni medici e anziane donne delle comunità migranti che, a pagamento, praticano l’infibulazione, spesso senza anestesia e con strumenti non sterili. Per quanto detto dall’ Inmp, la scuola italiana deve stare molto attenta al fenomeno descritto.
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