Lavorare in classe sulla decodifica di fake news è importante perché siamo continuamente esposti ad esse. Perché tanti vanno appresso anche quelle più assurde? I motivi sono tanti. Ma uno dei “colpevoli” di questo fenomeno è stato scovato: è una nostra precisa caratteristica mentale: siamo istintivamente creduloni, molto più che scettici. E per motivi adattivi: non possiamo controllare ogni singola informazione, quindi la fiducia procede più “in automatico”. (VAI AL CORSO)
Sulla questione (e non esistevao allora né social network né disintermediazione né internet e cose simili) si erano confrontati, “soltanto” quattro secoli prima, due giganti del pensiero come Cartesio e Spinoza. Cartesio sosteneva che la comprensione di un contenuto informativo va separata, sul piano dei processi mentali, da quella della formazione di una credenza su quel contenuto. In altre parole, prima capiamo il contenuto e poi ci facciamo un’idea su di esso (in particolare, se è vero o falso). Si tratterebbe quindi, secondo Cartesio, di due processi distinti.
Spinoza era invece di parere opposto e sosteneva che, nel momento stesso in cui comprendiamo un contenuto informativo, tendiamo istintivamente a crederci. Chi aveva ragione?
A distanza di qualche centinaio di anni da questa titanica disputa, uno scienziato, Daniel Gilbert, ha predisposto un esperimento per chiarire una buona volta il punto, tutt’altro che secondario per le sue conseguenze psicologiche e sociali.
L’esperimento è consistito in questo: a 71 soggetti è stato dato un foglio con la descrizione di una rapina, compresi i dettagli. In base a quella descrizione, i soggetti dovevano stabilire qual era secondo loro la sentenza più giusta per il rapinatore.
La descrizione, però, conteneva due generi di informazioni: alcune vere (scritte in verde) e altre false (scritte in rosso). Le informazioni in rosso (false) contenevano diversi dettagli, talvolta a carico dell’imputato (aggravanti), altre volte a discarico (attenuanti). I soggetti sapevano comunque, grazie al colore, quali erano le informazioni vere e quali erano quelle false e dovevano tenere conto di questo per dare un giudizio equo.
Mentre erano intenti a studiare quel testo, metà dei soggetti venne distratta. Il risultato fu che i soggetti che erano stati distratti comminarono all’imputato sentenze proporzionate ai dati forniti anche dalle righe scritte in rosso. Come se fossero vere al pari di quelle scritte in verde. Spinoza aveva ragione: nel momento in cui comprendiamo qualcosa, una parte della nostra mente (il Sistema 1, verrà chiamato successivamente da alcuni autori) si affretta ad arrivare a conclusioni anche sulla loro veridicità, senza discriminare troppo con una riflessione più ponderata che, semmai, arriverà (se arriverà) dopo. La distrazione aveva premiato il Sistema delle decisioni d’impulso, non quello (Sistema 2) delle elaborazioni più ponderate.
Del resto, è noto che frasi negative come “Carlo non ha truffato la compagnia di assicurazioni” viene letta inconsapevolmente, dal Sistema 1 del nostro cervello, come una netta associazione di Carlo alla truffa. Con tanti saluti per quel “non” scritto davanti al testo, a discolpante protezione del povero Carlo.
Insomma, per come siamo fatti, e se non stiamo attenti, fake news “avanti tutta”.
Su questi argomenti il corso Informazione e fake news, in programma dal 6 luglio, a cura di Giovanni Morello.
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