Ritorna ancora una volta il dibattito in merito all’insegnamento della lingua inglese nella scuola italiana, da molti giudicato povero e assolutamente inadeguato. A sollevarlo è stato un post su X.
“Frustrante sapere che la scuola italiana normalmente t’insegni un inglese che poi, una volta in cui vai all’estero anche per una settimana, non ti serve a niente perché non hai solide basi per poter riuscire a costruire un discorso utile in molte situazioni. Che non siano neppure in grado di spiegarti come relazionarti con qualcuno, avendo necessità di chiedere qualcosa che magari normalmente all’estero magari non chiederesti solitamente (tipo una medicina, un informazione su un evento, un espressione da usare con un ufficiale)”, questo il contenuto del post.
Ecco altri commenti in merito: “Due grandi lacune nelle scuole italiane in materia linguistica (a partire dall’inglese sono): totale assenza di esercizi di ascolto con madrelingua e parlato per migliorare la pronuncia e il connected speech, totale assenza di insegnamento di linguaggio colloquiale e informale”.
“Ho 22 anni, studio inglese da quando ne avevo 6, elementari, medie, liceo, università, corsi per certificazioni. Ripetevamo sempre le stesse cose Sai cosa me lo ha insegnato? Musica, serie, film, relazionarmi e postare in lingua sui social”.
“Il problema sta proprio alla base. Se il programma ministeriale è ‘lingua E LETTERATURA’ ti ritrovi a studiare Chaucer invece di imparare a chiedere dove sta il bagno a seconda di dove ti trovi e con chi stai parlando”.
“Per la maggior parte dei casi nelle scuole italiane non si insegna una lingua ma una grammatica. In un colpo riescono a fare perdere tempo e risorse e a rendere antipatica una cosa potenzialmente piacevole.
“La scuola ti insegna come studiare l’inglese: sta a te approfondire se sei interessato. La scuola mica è il supermercato delle competenze”.
“Quando sono stata in scambio culturale in Germania le lezioni di inglese erano completamente basate sul dialogo in gruppo e l’ascolto e infatti i ragazzi escono dalle superiori che parlano tranquillamente in inglese”.
È molto difficile trovare un cittadino italiano che nega l’importanza di conoscere e parlare bene la lingua inglese, soprattutto quando si proietta la sua utilità in ambito lavorativo: a confermarlo sono i risultati di una ricerca commissionata da Pearson, editore nel settore education, a Bps Insight, da cui deriva che il 91% degli italiani si dichiara consapevole che l’inglese gioca un ruolo determinante per la propria vita lavorativa. In pratica, la conoscenza della lingua è considerata un vero e proprio fattore di empowerment, soprattutto per le donne per cui la lingua d’Oltremanica diventa un’importante leva per superare determinati gap.
Sul piano pratico, però, sono pochi a dare seguito tale certezza: il 64% degli intervistati ha dichiarato, infatti, di avere imparato l’inglese esclusivamente a scuola, con un percorso medio durato 6,6 anni.
Sempre in Italia, il 23% che ha imparato l’inglese sia a scuola sia all’università. Poco più della metà degli italiani (55%) afferma di aver raggiunto un buon livello di inglese attraverso l’istruzione formale contro il 45% globale.
Nella nostra Penisola, come in altri mercati, l’ostacolo più significativo all’apprendimento dell’inglese è la mancanza di tempo (39%), seguita dal divario tra istruzione formale e requisiti sul posto di lavoro (34%) e limitate opportunità di praticare (32%). Non è un caso che la classificazione di “inglese scolastico” corrisponda a una conoscenza della lingua di livello minimo.
La ricerca – condotta, oltre che in Italia, in Arabia Saudita, Florida, Giappone e Brasile – serviva a “sondare” l’impatto della conoscenza della lingua inglese come carburante per una vita migliore a 360 gradi.
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