Si è aperto ufficialmente il nuovo anno scolastico, un anno che avrebbe dovuto essere segnato dall’avvio della tanto e a lungo dibattuta riforma della scuola, ma che invece sarà caratterizzato solo dalla sperimentazione della riforma, meglio da una mini-sperimentazione della riforma, e dalle altre sperimentazioni che talune Regioni, sette per la precisione, e la Provincia Autonoma di Trento condurranno avendo stipulato apposite Intese e Convenzioni con il Miur.
Gradualmente, ad iniziare dal Piemonte, ovunque bambini, scolari e studenti si troveranno sui banchi di scuola con i loro insegnanti, coloro, insomma, che dovrebbero essere considerati i fattori primari del processo di istruzione e di formazione, ma che nella realtà quotidiana italiana, a parte l’enfasi di tante belle e abusate parole, sono ancora ignorati dall’amministrazione.
Maestri e professori torneranno tra i banchi senza aver visto rinnovato il loro contratto nazionale di lavoro con tutte le conseguenze prevedibili dal punto di vista economico e professionale visti pure i maggiori impegni ed oneri cui sono ripetutamente chiamati dal nuovo contesto normativo della scuola in continua e rapida evoluzione.
È dal mese di gennaio che è scaduto il loro contratto, né è possibile intravederne la relativa firma a breve termine nonostante il bel dire del Ministro Letizia Moratti che, sempre fuori dalle sedi istituzionali – Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini ad agosto e più recentemente al Seminario di Forza Italia di Gubbio -, assicura di aver assolto agli adempimenti della fase iniziale, quella della definizione dei principi.
La verità, come sappiamo, è abbastanza diversa. È fin troppo noto l’altolà del Ministro della Funzione Pubblica, Franco Frattini, in ordine al rinnovo di tutti i contratti del pubblico impiego, della scuola compreso, e secondo cui nulla di buono c’è da sperare visto che se si supera solo di un euro l’accordo sulla politica dei rediti del 1993, la firma dei contratti rischia di saltare.
Tempi duri per gli insegnanti della scuola italiana, ancora una volta gabellati come i fattori primari dell’innovazione e delle trasformazioni della scuola, ma di fatto immolati sull’altare dei risparmi che lo Stato ha deciso di fare solo sacrificando la scuola e i diritti di quanti vi operano quotidianamente.
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