Inizia il nuovo anno scolastico. Di questi tempi, anni fa, un docente pensava alle classi che aveva lasciato in primavera e che avrebbe sicuramente ritrovato: alle sue classi. Ne pensava pregi e difetti, e in base ad essi meditava su come avrebbe modulato le proprie lezioni: quali argomenti avrebbe potuto approfondire, su quali invece gli sarebbe convenuto scivolare via. Faceva il punto delle sue letture estive, degli approfondimenti delle sue discipline che ne erano derivati. Decideva che uso ne avrebbe fatto durante l’anno che si apriva, per rinnovare il proprio impegno e renderlo così sempre nuovo e sempre interessante e gradito.
Oggi, tarda estate 2016, si ritrova invece a riflettere su quello che sarà il proprio destino professionale. Si chiede, ad esempio, se le sue classi saranno ancora sue, o se il dirigente scolastico – nella sua non più impugnabile volontà – deciderà di sottrargliele del tutto o in parte per collocarlo in quell’autentica palude stigia che è l’”organico di potenziamento”, settore dai compiti vaghi e proteiformi, in cui la relazione umana con gli studenti – uno dei motivi per cui, tanti anni prima, aveva deciso di essere insegnante – è tranciata di netto.
Si chiede anche, qualora il dirigente gli concedesse di continuare a fare il suo mestiere, se potrà farlo nelle materie per insegnare le quali superò illo tempore un duro concorso, quelle alle quali lo lega un rapporto di inesausto amore: l’altro motivo per il quale aveva deciso, poco più che ragazzo, di essere insegnante. Forse che sì, forse che no: potrebbe, il dirigente, assegnargli una materia affine, come la legge lo autorizza (ma a cosa mai non lo autorizza?) a fare.
Si domanda inoltre, nel caso gli sia concessa una cattedra e i suoi alunni siano grandicelli, quale atteggiamento dovrà mantenere con il proprio studente nominato a far parte del Comitato di valutazione, organo dal quale in gran parte dipendono carriera e scatti stipendiali. Una cordialità permeata di riserbo? Un tratto francamente amichevole, quasi da pari a pari? Un sussiegoso rispetto per la figura elevata all’alto incarico, tale da assicurarsene la simpatia e il parere favorevole?
Forse, se trattasi di uno dei docenti di recente nominati per “chiamata diretta”, gli brucia ancora il ricordo di quella sorta di commissione d’esame messa in piedi dal dirigente per inquisirlo su cognizioni, competenze e finanche personali progetti e inclinazioni: “svolge per caso una libera professione? Sa, noi cerchiamo un insegnante che sia completamente dedito al suo lavoro”; “ha intenzione di avere una maternità, nel prossimo triennio?”; “ama la musica?”; “le piacciono gli animali?” e così andando. Prima ancora del colloquio, all’insegnante era stato richiesto un video “a figura intera” da cui se ne potessero dedurre le doti relazionali, ed anche a quell’operazione da guitto si era egli rassegnato. E meno male – pensa tra sé e sé il docente della buona scuola, contemplando pensoso la sua inutile libreria arricchita negli anni – che nessuno mi ha ancora chiesto il book.
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