Tornare insegnare oggi, in Italia, è sempre più gravoso e difficile. Anche i docenti risentono del clima culturale e sociale: il nostro, infatti, appare oggi un Paese senza sogni né speranze, senza progetti né utopie. I giovani (specie quelli più in gamba, sui quali la Penisola ha investito di più in istruzione) non pensano che a partire per altre nazioni, considerate da loro più civili e più libere. Anche perché i giovani migliori non si vedono premiati dal sistema educativo né da quello lavorativo, ed hanno l’impressione che in Italia siano sempre i “furbi” a vincer la partita (con l’aiuto dell’arbitro): a cominciare dai banchi di Scuola, ove è sempre più facile farsi promuovere senza sforzi (e dove lo studente studioso è considerato “sfigato”).
Destra estrema e sedicente “Sinistra” governano insieme da un quarto di secolo, ed è ormai difficile distinguerne le politiche, che a volte paiono caratterizzate da un identico impegno: garantire alla casta dominante la prosecuzione del proprio predominio. Un anno di governo del “nuovo” Movimento 5 Stelle ha deluso i più.
I due schieramenti tradizionali — che ormai sembrano espressione non di ideologie differenti, ma di diverse cordate d’affari — si differenziano solo per le strategie con cui tutelano i propri privilegi. Più dura la Destra, disposta a tutto pur di non concedere nulla a chi vorrebbe giustizia sociale, libertà, uguaglianza. Più gesuitica e melliflua la cosiddetta “Sinistra”, composta in parte dagli eredi di DC, PSI e PCI, convinti che, per mantenere il potere, occorre far qualche concessione (o per lo meno dare l’impressione di farla).
Per il ceto medio, per i nuovi poveri, per gli elettori più deboli, è una scelta tra la padella e la brace. Infatti dal 1993 varie leggi elettorali hanno distrutto il sistema proporzionale implicitamente previsto dalla Costituzione (che all’art. 48, comma 2, definisce il voto “personale ed eguale”): di conseguenza il quadro politico è ormai bipolare, e tende ad escludere chiunque non s’adegui allo strapotere dei due gruppi dominanti. Votare oggi è quasi un decidere se morire rapidamente o dolcemente. Identico è l’uso che i due schieramenti fanno dell’informazione, ufficialmente libera da censure, ma in realtà quasi tutta — almeno in apparenza — sensibile ad interessi “altri” rispetto al bene collettivo ed alla verità dei fatti.
Il processo di condizionamento della stampa cominciò dagli anni ‘80, quando industriali, palazzinari e banchieri diedero la scalata a case editrici e testate giornalistiche. La linea editoriale di un quotidiano, come è ben noto, riflette il punto di vista dell’editore, e si struttura dove questi (padrone del giornale) fa le proprie scelte strategiche: ossia nel Consiglio di Amministrazione.
Ebbene, oggi nei CdA dei quotidiani e delle riviste gli editori puri sono quasi spariti. Il Corriere della Sera (RCS), considerato il maggiore quotidiano nazionale, è controllato dalla Cairo Communication (7 membri su 11 del Consiglio d’Amministrazione) e da quattro membri vicini Della Valle, Mediobanca, Pirelli e Unipol. Nel CdA del quotidiano La Repubblica (un tempo simbolo dell’informazione critica e indipendente) siedono, oltre al Gruppo L’Espresso della famiglia De Benedetti, anche Fiat (tramite John Elkann), Pirelli (tramite Laura Cioli), Tecnoindustrie Merlo S.p.A., Finmeccanica e Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. (tramite Silvia Merlo), Consilium S.g.r. Scala Groupt. e Simplicissimus Book Farm (tramite Luca Paravicini Crespi), Atlantia, Snam e De Longhi (tramite Alberto Clò). Il Messaggero di Roma è di Caltagirone Editore (come pure Il Mattino di Napoli, Il Gazzettino di Venezia ed il Nuovo Quotidiano di Puglia). Il Giornale appartiene al Gruppo Mondadori di Berlusconi; Il Tempo e Libero fanno capo alla famiglia Angelucci. L’Unità era controllata da Tiscali.
Non serve grande ingegno per intuire che tale passione della classe imprenditoriale per l’editoria e l’informazione non è dettata esclusivamente da filantropia e amore per le lettere. Poter determinare la linea editoriale di una testata significa ispirarne le tesi fondamentali, sulle cui basi vengono scelte e approfondite le notizie.
Nessuno stupore, dunque, se in Italia le idee confindustriali diventano dogmi per i maître à penser delle TV (a loro volta legate al potere politico e imprenditoriale); dogmi, quasi come le sure coraniche per gli jihadisti. Ecco perché giudizi e pregiudizi della minoranza più ricca (anche e soprattutto su temi di interesse collettivo, come sanità e istruzione) dettano legge in tutto il Paese, e aprono la strada alle decisioni prese in Parlamento. Un Parlamento, peraltro, eletto (anzi, nominato) da 26 anni con leggi elettorali inique e talora furbesche, che hanno contribuito ad allontanare l’elettorato dalle urne.
Come ci si può stupire, quindi, che la Scuola di oggi sia così diversa da quella di 30 anni fa (e da quella prevista dai padri costituenti)? Il senso comune è stato plasmato da decenni di propaganda anglobalizzata. Fu così che nacquero Invalsi, scuola dell’autonomia e dei progetti, aziendalizzazione, impiegatizzazione della classe docente, gerarchizzazione aziendalista, neolingua didattichese anglofona applicata alla legislazione scolastica. Ossia tutto ciò che — per usare una ottimistica e pietosa litote — non aiuta gli insegnanti (specie quelli di valore, che insegnano per passione) a riprendere con entusiasmo l’attività didattica ordinaria.
Ma così è. «[…] Caron, non ti crucciare:
Vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare»
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