Non è ancora un PLOF, per ora. Comincia col PTOF il nuovo anno scolastico che la ministra Giannini ha battezzato “affascinante”, forse un po’ gasata per l’“avventura” che sta per iniziare.
Notiamo, en passant, che avventura e cronoprogramma dettagliato (parole usate nello stesso discorso) concettualmente non vanno a braccetto. Da un lato la ministra vorrebbe assicurarci che è tutto previsto e regolato. Mentre l’avventura include il rischio. Quello del plof appunto.
Ma lasciamo le cose al loro corso e guardiamo per ora solo tre aspetti della cosiddetta Buona Scuola percepibili da subito: la precarizzazione, lagerarchizzazione, la iperburocratizzazione.
Le immissioni in ruolo approvate con la legge 107 riusciranno a risolvere/ridurre il precariato? Certo che no! Il precariato diventerà la condizione esistenziale del docente. Migliaia di precari, per accettare il ruolo, si sposteranno in tutta Italia. Ma, avendo famiglia e una certa età, vorranno tornare o avvicinarsi quanto prima. E allora via con l’avventura degli ambiti territoriali, dei piani triennali, della chiamata diretta, della conferma o meno del posto. E pensare che i politici ci avevano detto di voler fare l’interesse dell’utenza garantendo la stabilità! Se ne accorgeranno presto anche i genitori. Gli stessi docenti “di ruolo” non potranno stare tranquilli. Se vogliono cambiare scuola o se diventano soprannumerari, finiranno risucchiati nel meccanismo infernale degli ambiti territoriali. E se ambiscono ad un miserrimo compenso aggiuntivo non avranno altra chance che dire sempre signorsì al capo. La riforma renziana ha voluto distruggere alle radici la figura del docente professionista disegnato dal vecchio articolo 33 della Costituzione, da rottamare pure quello.
Il nuovo anno scolastico inizia con il gran lavoro per la predisposizione del PTOF, il piano triennale dell’offerta formativa, che deve indicare tutti i fabbisogni della scuola: posti di insegnamento, di sostegno, di potenziamento, del personale Ata, formazione, ecc… Teoricamente continua ad essere “elaborato dal collegio dei docenti”, ma l’indirizzo non è più dato dal consiglio d’istituto bensì dal dirigente scolastico, che fa le scelte di gestione e di amministrazione. Ma quali scelte può fare un DS in una fase così complicata e incerta di cambiamenti epocali? Seguirà pedissequamente le direttive calate dal Miur nelle apposite riunioni. Così, “istruendo” opportunamente gli attuali 6mila dirigenti scolastici in servizio (circa 2mila istituti sono dati in reggenza) si realizza laperfetta gerarchizzazione e il controllo centralistico del sistema di istruzione e formazione, che fra lavoratori e famiglie comprende milioni di persone. Altro che autonomia
Ad ogni occasione il premier e i suoi seguaci parlano di “semplificazione” e di “lotta alla burocrazia”. Fra le tante, questa è la balla più spaziale di tutte. Basta vedere cosa è diventato il lavoro nelle scuole nonostante l’evoluzione tecnologica. I documenti si moltiplicano di anno in anno all’ennesima potenza. Ogni consiglio di classe ha una mole di moduli da compilare, pagine e pagine di materiale per la programmazione, la progettazione, la valutazione, la certificazione. Basta guardare cosa è diventato il cosiddetto RAV (rapporto di autovalutazione), elaborato per lo più nelle ristrette pertinenze dirigenziali, alla faccia del coinvolgimento e della condivisione. Si tratta di documenti di autoanalisi complessi e assai corposi, che raccolgono ed esaminano una quantità di dati sul contesto, gli esiti di apprendimento, i processi. Centinaia di pagine. Ed è solo la prima fase! Ci saranno poi la valutazione esterna, i piani di miglioramento, la rendicontazione sociale….