Si avvicina il mese di settembre e si studiano le misure per la riapertura in sicurezza.
Il Ministero – da tempo al lavoro col supporto delle indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico, con Nota 1107 del 22 luglio 2021 del Capo Dipartimento per il sistema Educativo di istruzione e formazione– ha diramato le istruzioni per l’avvio in sicurezza dell’anno scolastico.
Nella nota citata, il Ministero ricorda che il CTS richiama l’uso della mascherina da parte degli operatori durante la somministrazione dei pasti, senza prevedere l’obbligatorio ricorso all’impiego di stoviglie monouso.
Ciò potrebbe portare alcune famiglie a non ritenere sufficientemente sicura la fruizione dei pasti da parte dei propri figli e a cercare soluzioni alternative.
Sulla questione si è recentemente pronunciato il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2851, pubblicata in data 8 aprile 2021.
I genitori di una ragazza avevano impugnato di fronte al Tar il provvedimento di un Dirigente Scolastico che aveva disposto la fruizione obbligatoria del servizio mensa comunale, escludendo la possibilità di consumazione di un pasto “domestico”, vale a dire preparato direttamente da casa.
Il Tar aveva dato ragione ai genitori, ma la sentenza veniva impugnata sia dall’impresa che gestiva il servizio di refezione scolastica, sia dal Ministero.
Il Consiglio di Stato ha osservato che il servizio mensa è compreso nel “tempo scuola” e costituisce senz’altro una sorta di “servizio pubblico”, rispetto al quale – se non un diritto- è certamente rinvenibile un “interesse legittimo” da parte degli alunni e dei loro genitori.
Se è indubbiamente riconoscibile un potere discrezionale da parte della Pubblica Amministrazione nel regolare l’erogazione del servizio, è altrettanto vero che detto potere deve essere esercitato nel rispetto delle regole generali, in ordine alla partecipazione procedimentale, all’attività istruttoria e alla motivazione adeguata.
Nel caso in specie, la motivazione del diniego alla “autorefezione” non sembra rivestire tali requisiti.
L’Amministrazione, infatti, si è limitata ad un generico riferimento alla “mancanza di personale in esubero” e alla mancanza di ulteriori locali ove ubicare la mensa “alternativa”.
Per queste ragioni, secondo il Ministero, non era possibile da un lato offrire un’idonea struttura logistica, dall’altro garantire un’adeguata vigilanza.
Secondo il Supremo organo della giustizia amministrativa, il Ministero non ha preso in considerazione la possibilità di consumare il “pasto domestico” negli stessi luoghi della mensa.
Così facendo, la vigilanza potrà essere svolta dal personale in servizio, senza bisogno dunque di unità aggiuntive nè di ulteriori spazi.
Inoltre, poiché “l’autorefezione” non comporta necessariamente una modalità solitaria di consumazione del pasto, la consumazione del pasto in spazi e tempi condivisi permette e favorisce la socializzazione degli studenti.
Una sentenza da incorniciare.
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