Ho lasciato la scuola un anno fa, nel senso del pensionamento.
Ma sembra un secolo fa. Ricordo bene l’estate 2020 trascorsa tra ricerca di spazi e protocollo sicurezza da rispettare. Anche quest’anno, per la verità, la questione sicurezza è al primo posto con, in più, la questione green pass. Ma la differenza non la trovo nelle giuste preoccupazioni sul protocollo sicurezza, ovviamente aggiornato al momento.
La trovo per il clima che stiamo vivendo. Mai avrei immaginato un clima di negazione della cultura scientifica, di individualismo esasperato, di linguaggi che sono approdati agli insulti fuori controllo, persino alla violenza di persone di scuola di fronte al ministero dell’istruzione.
Messo in discussione è, prima ancora delle scelte politiche, ciò che dice la scienza, ciò che ripetono gli esperti, nonostante errori di comunicazione, gaffe varie e qualche protagonismo di troppo.
Cioè, nonostante tutto questo, viene messo in crisi, con un dubbio scettico e non metodico, come aveva insegnato Cartesio, è ciò che rimane del valore conoscitivo e della affidabilità in progress delle scienze.
Alla fin fine, tutto sembra opinabile, ognuno legittimato, in nome di una libertà ridotta a libero arbitrio, a dire la sua, anche senza un certificato e riconosciuto riscontro scientifico.
Il virus, in poche parole, ha colpito duro, non solo sul piano sanitario.
Il virus ha messo cioè in discussione quel sostrato di fiducia nella scienza, ma, prima ancora, ha reso inutile qualsiasi attenzione alla metodologia della ricerca.
In questo clima, ripartire, con un nuovo anno scolastico, con la formazione culturale non è facile. Perché, in fondo, cosa sono legittimate a proporre le scuole e le università, se poi il muro di gomma dell’opinabile sembra inscalfibile? Compito primo della scuola e dell’Università, dunque, è quello di ricostruire, di riannodare, di incrociare gli sguardi, di scommettere sulla fiducia reciproca.
In seconda battuta, credo sia giusto che vengano avviati progetti di approfondimento interdisciplinare sulla metodologia della ricerca, cercando di cogliere il valore ma anche il limite di ogni disciplina, di ogni percorso, di ogni tematica.
Perché, lo ricordo, anche se Heidegger era arrivato a dire che “la scienza non pensa”, intendendo la ricerca scientifica tutta protesa al solo utilizzo tecnocratico, e quindi politico, la scienza (meglio: le scienze) galileianamente sono finalizzate anzitutto alla ricerca in se stessa, e solo in seconda battuta alla valorizzazione pratica.
Provare per credere.
Annotando, a margine, che la parola “pensiero” ha vari significati: immaginazione, ricordo, nostalgia, riflessione, ragionamento, progetto, speranza, fantasia. Come nel famoso coro verdiano “Va’, pensiero”.
La scuola, cioè, non deve lasciarsi risucchiare dai vari ideologismi, ma rimanere comunità aperta a tutte le facce dell’esperienza, cioè della vita.
Una vita pensata, con l’aiuto di maestri, autori, docenti.
La scuola, ma non da sola, ovviamente, ritorna dunque centrale nella vita delle persone e del tessuto sociale.
Ecco, auguro alla scuola di non disperdere del tutto ciò che è già stato seminato.
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