La vicenda dell’Inno di Mameli e della sua ufficializzazione merita un approfondimento.
DDL APPROVATO IN COMMISSIONE
Il 15 novembre scorso, infatti, la Commissione Affari Costituzionali del Senato, ha approvato in sede legislativa un disegno di legge di un solo articolo e di poche che già più di un anno fa aveva ricevuto il voto favorevole della medesima Commissione della Camera.
La legge è talmente breve che possiamo riportarla integralmente:
“ARTICOLO 1
1. La Repubblica riconosce il testo del «Canto degli italiani» di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro quale proprio inno nazionale.
2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera ii), della legge 12 gennaio 1991, n. 13, sono stabilite le modalità di esecuzione del «Canto degli italiani» quale inno nazionale”.
LA STORIA DELL’INNO
Nella relazione illustrativa letta in Commissione, il senatore Roberto Cassinelli ha ripercorso la storia dell’Inno ricordando che Goffredo Mameli, giovane patriota genovese, lo scrisse nel settembre del 1847, intitolandolo «Canto degli italiani»; il testo fu musicato dal tenore e compositore Michele Novaro, anch’egli genovese, il 24 novembre dello stesso anno.
L’inno debuttò pubblicamente il 10 dicembre 1847 a Genova, nell’ambito di una commemorazione della rivolta del quartiere di Portoria contro gli occupanti asburgici durante la guerra di successione austriaca.
Proibito dalle autorità sabaude, a causa dell’ispirazione repubblicana e giacobina del suo autore, “ben presto – ha ricordato ancora Casinelli – si diffuse tra i combattenti, divenendo il canto più amato e popolare del Risorgimento italiano e degli anni successivi all’unificazione. In particolare, venne intonato diffusamente dagli insorti durante le cinque giornate di Milano, dalle folle acclamanti la promulgazione dello Statuto albertino nel 1848, nonché da volontari impegnati nella difesa della Repubblica romana nel 1849”.
Accantonato durante il ventennio fascista, il brano tornò in auge del secondo dopoguerra. Il 12 ottobre 1946, infatti, un provvedimento del Governo presieduto da Alcide De Gasperi dispose il riconoscimento, in via provvisoria, dell’inno di Mameli quale inno nazionale della Repubblica italiana, da utilizzare nella cerimonia del giuramento delle Forze armate.
DA INNO PROVVISORIO A INNO UFFICIALE
Negli anni successivi si sono succeduti diversi tentativi di consacrarlo come inno ufficiale, ma per un motivo o per l’altro il Parlamento non era mai riuscito a portare a termine l’operazione.
In particolare, nella XIV legislatura (2001-2006, Governo Berlusconi), venne presentato persino un disegno di legge costituzionale, ma senza risultato.
Nel 2012, in compenso, venne approvata la legge n. 222, che prescrive l’insegnamento dell’inno di Mameli nelle scuole italiane e riconosce il 17 marzo, data della proclamazione a Torino, nell’anno 1861, dell’Unità d’Italia, quale “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”.
Questa volta è andata meglio e, incredibilmente, l’iter parlamentare è stato particolarmente breve senza alcun passaggio dalle aule, né della Camera né del Senato. Alla Camera, nel febbraio scorso, il ddl aveva iniziato il suo percorso nella Commissione Affari Costituzionale dove è stato approvato in sede deliberante il 25 ottobre scorso. Trasmesso immediatamente al Senato, anche qui è diventato legge in Commissione.
SODDISFAZIONE DI UMBERTO D’OTTAVIO
Il provvedimento può essere a buon diritto denominato “legge D’Ottavio”: a volerla fortemente fin dall’inizio è stato infatti il deputato PD Umberto D’Ottavio, già sindaco di Collegno (TO) e assessore provinciale all’istruzione.
“Condurre il porto l’iniziativa – ha dichiarato D’Ottavio subito dopo l’approvazione della legge – non è stato facile, perché la Commissione Affari Costituzionali è la stessa in cui si discute di legge elettorale e per trovare intese e spazio su una minuzia come l’inno nazionale ho dovuto usare anche molta pazienza”.
“Senza trascurare il fatto – conclude D’Ottavio – che molti parlamentari non sapevano neppure che l’Inno fosse ancora provvisorio”.
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