Attualità

Innocenti bugie. Non tutte le dichiarazioni mendaci determinano il licenziamento

Com’è noto, in occasione della prima supplenza, si procede alla convalida dei titoli; in pratica si va a verificare se i titoli di studio e di servizio indicati nella domanda sono corretti.
Può capitare che in alcuni casi vengano fuori delle difformità tra quanto dichiarato e i titoli effettivamente posseduti.


La differenza tra falso e errore

Chi opera nel mondo nella scuola sa quanto sia complicato districarsi nella materia, tra titoli di studio con validità limitata nel tempo (o con necessità di integrazione di alcuni esami), contratti atipici, servizi resi presso enti pubblici, ecc.
Niente di più facile che un aspirante supplente- per di più alle prime armi- commetta un errore nella compilazione delle domande, magari semplicemente inserendo un determinato titolo in una “finestra” piuttosto che in un’altra.


Le sanzioni

Ai sensi dell’art. 7, comma 9, dell’O.M. n.60/2020 “è escluso dalle graduatorie, per tutto il periodo della loro vigenza, l’aspirante di cui siano state accertate, nella compilazione del modulo di domanda, dichiarazioni non corrispondenti a verità”.

Inoltre, “l’eventuale servizio prestato dall’aspirante sulla base di dichiarazioni mendaci è, con apposito provvedimento emesso dal dirigente scolastico, dichiarato come prestato di fatto e non di diritto, con la conseguenza che lo stesso non è menzionato negli attestati di servizio richiesti dall’interessato e non è attribuito alcun punteggio, né è utile ai fini del riconoscimento dell’anzianità di servizio e della progressione di carriera, salva ogni eventuale sanzione di altra natura” (art. 8, comma 10, norma cit.).

Tale rigore è mitigato dal fatto che “In caso di esito negativo della verifica, il dirigente scolastico che ha effettuato i controlli comunica all’Ufficio competente la circostanza, ai fini delle esclusioni di cui all’articolo 7, commi 8 e 9, ovvero ai fini della rideterminazione dei punteggi e delle posizioni assegnati all’aspirante” (art.8, comma 9).

Dunque, è la stessa Ordinanza Ministeriale che non dà affatto per scontato che la non corrispondenza tra dichiarazioni e titoli determini automaticamente l’esclusione dalle graduatorie, essendo possibile la sola rideterminazione del punteggio, senza l’applicazione di ulteriori sanzioni.

La giurisprudenza


La Corte di Cassazione (sentenza n. 18699/2019) ha precisato che se le false dichiarazioni riguardano un requisito che avrebbe impedito l’instaurazione del rapporto di lavoro con la P.A. si verifica senz’altro la decadenza.
Ciò succede ad esempio quando (falsamente) si dichiara il possesso di un titolo di studio indispensabile per accedere all’insegnamento.
Quando invece le dichiarazioni riguardano requisiti “non ostativi” all’assunzione, l’Amministrazione può contestare la falsità al dipendente ai sensi dell’art. 55-quater, lett. d) del D.Lgs. n. 165/2001, aprendo un formale procedimento disciplinare, nel quale il dipendente ha diritto di difendersi, anche a mezzo di un rappresentante sindacale o di un legale di fiducia.
Tuttavia, anche in questo caso, la Corte di Cassazione ha precisato che il licenziamento non è affatto automatico, ma potrebbe essere comminato solo se “valutate tutte le circostanze del caso concreto, la misura risulti proporzionata rispetto alla gravità dei comportamenti tenuti”.

In pratica

Un’applicazione pratica (spesso ricorrente) di tale principio si verifica quando il dipendente non dichiara di aver riportato condanne penali, trattandosi di reati poco gravi, per i quali magari era stata espressamente stabilita la “non menzione” della condanna nei certificati penali.
Stando alla lettera delle disposizioni ministeriali – trattandosi comunque di dichiarazioni non veritiere- scatterebbero le sanzioni del licenziamento e dell’esclusione dalle graduatorie.
Tuttavia, il Tribunale di Como  (sentenza n. 131 del 28.07.2020) ha affermato che l’effetto automatico della decadenza si produce solo per le false dichiarazioni che occultano la mancanza di un requisito richiesto per l’instaurazione del rapporto di lavoro con la P.A. e non a una qualsiasi dichiarazione non veritiera, ma solo a quella finalizzata ad ottenere l’ammissione nella graduatoria, cioè diretta a celare la mancanza di uno dei requisiti richiesti”.

Francesco Orecchioni

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