Presentato a Roma il rapporto Inps riguardo la situazione pensionistica in Italia per il 2017.
Sono oltre 5,5 milioni i pensionati che percepiscono un assegno lordo sotto i 1000 euro al mese.
Per quasi 3,5 milioni, invece, il reddito pensionistico oscilla tra i 1.000 e i 1.500 euro (il 22,3% del totale) mentre rappresentano il 18,1 (circa 2,8 mln) quelli con una pensione tra i 1.500 e i 1.900 euro. ù
Solo il 10,8% (pari a 1,6 milioni) percepisce assegni tra 2mila e 2.500; sono poi 875mila (solo il 5,75) quelli che denunciano un reddito da pensione tra i 2.500 e i 2.900 euro.
Pattuglia che sale a 1 milione e 113mila pensionati, infine, quella che dichiara un reddito pensionistico da 3mila euro e oltre.
Il 47,1% dei pensionati risiede al Nord contro il 19,5% di quelli che abitano al Centro e il 31% di quelli che risiedono nel Mezzogiorno mentre sono il 2,4% (circa 371mila) quelli che percepiscono la pensione all’estero.
Al Nord come al Centro l’importo medio mensile lordo si aggira sui 1.600 euro, che scendono a 1.300 al Sud;all’estero i pensionati denunciano assegni medi di 316 euro. Complessivamente i pensionati Inps maschi sono il 47% del totale, le femmine il 53% e resta immutato il gap di reddito: l’importo medio mensile per gli uomini si aggira sui 1.788 euro contro i 1.271 delle donne.
Il sistema pensionistico italiano è a rischio perché ci sono pochi giovani al lavoro e troppi anziani in pensione.
I contributi dei primi non ce la farebbero a pagare le pensioni dei secondi, tra l’altro più sostanziose perché calcolate con il sistema retributivo o misto. Un equilibrio che, secondo i dati dell’Inps, potrebbe essere raggiunto solo attraverso il lavoro degli immigrati.
Infatti l’Istituto di previdenza ricorda che “anche innalzando l’età del ritiro, ipotizzando aumenti del tasso di attività delle donne” e “incrementi plausibili e non scontati della produttività“, per “mantenere il rapporto tra chi percepisce una pensione e chi lavora su livelli sostenibili è cruciale il numero di immigrati che lavoreranno nel nostro Paese”.
L’Inps mette nel mirino anche gli annunciati interventi di superamento della Legge Fornero con la quota 100, cioè la possibilità di andare in pensione quando la somma dell’età e degli anni di contributi è almeno pari a 100).
La quota 100, allo stato puro, costerebbe fino a 20 miliardi di euro all’anno, poco meno (fino a 18 miliardi di euro) quota 100 con 64 anni minimi di età̀.
La spesa scenderebbe a 16 miliardi di euro/anno alzando il requisito anagrafico a 65 anni, mentre quota 100 con 64 anni minimi di età̀ e il mantenimento della legislazione vigente per quanto riguarda i requisiti di anzianità̀ contributiva indipendenti dall’età̀ costerebbe fino a 8 miliardi di euro l’anno.
Dunque si viene a creare un problema di copertura finanziaria che, secondo l’Inps, è possibile superare solo aumentando il prelievo previdenziale sul singolo lavoratore.
Abbassare l’età pensionabile, con l’attuale quadro previdenziale, porterebbe, infatti, i lavoratori a destinare fino a 2/3 del proprio salario al pagamento delle pensioni.
Ripristinando le pensioni di anzianità̀ con quota 100 (o 41 anni di contributi) si avrebbero subito circa 750mila pensionati in più.
Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ribadisce le critiche sul possibile ripristino delle pensioni di anzianità: “Sappiamo che ogni abbassamento dell’età pensionabile comporta anche riduzione dell’occupazione perché il prelievo contributivo aumenta e il lavoro costa di più. In un sistema pensionistico a ripartizione come il nostro, i contributi di chi lavora servono ogni anno a pagare le pensioni di chi si è ritirato dalla vita attiva. Oggi abbiamo circa 2 pensionati per ogni 3 lavoratori. Questo rapporto è destinato a salire nei prossimi anni”
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