I patti lateranensi tra il Regno d’Italia e la Santa Sede, sottoscritti l’11 febbraio 1929, garantivano alla Chiesa, tra le tante cose, il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia, con importanti conseguenze sul sistema scolastico pubblico, come l’istituzione dell’insegnamento della religione cattolica.
Nel 1948 i Patti furono riconosciuti costituzionalmente nell’articolo 7 dell’omonima fonte di diritto. Il Concordato (ma non il Trattato) fu rivisto nel 1984, fondamentalmente per rimuovere la clausola riguardante la religione di Stato della Chiesa cattolica in Italia, visto che l’articolo 3 della Costituzione sosteneva l’uguaglianza degli individui a prescindere dal loro credo religioso. Quindi la L. 121/1985 (di applicazione del concordato) chiarisce che: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado».
Lo Stato italiano, siglando il concordato, ha quindi ritenuto che l’insegnamento della religione cattolica dovesse essere utile perché la cultura religiosa ha un valore e perché i principi del cattolicesimo fanno parte del nostro patrimonio storico. Cioè fanno parte di noi e non li possiamo dimenticare. Insegnare i principi del cattolicesimo e trasmettere il valore della cultura religiosa sono obiettivi importanti per raggiungere i quali bisogna conoscere e comprendere anche tutti quegli aspetti che afferiscono e costituiscono le varie pratiche religiose come rispettare i precetti o, perché no, recitare il rosario.
L’insegnamento della religione non è certamente solo questo. Esso riguarda tutti gli aspetti che interessano l’essere umano in quanto tale. Il rispetto di sé stessi e quindi degli altri, la lotta alle ingiustizie e la difesa dei più deboli, l’aiutare gli altri in difficoltà, il saper ascoltare gli altri e l’apertura al dialogo, ecc. Queste cose, e tante altre, sono oggetto dell’insegnamento della religione a scuola. La valenza formativa e sociale è chiara ed evidente. Da parte laica l’insegnamento della religione cattolica è ritenuto in contrasto con la laicità costituzionale della Repubblica Italiana e dunque della scuola pubblica, in quanto insegnamento di parte.
L’educazione e la formazione religiosa dei giovani sono di specifica competenza delle famiglie e delle Chiese e l’insegnamento di catechesi o di dottrina religiosa o pratiche di culto nelle scuole pubbliche o gestite dallo Stato non va quindi fatto. Oggi in Italia si discute anche su varie tematiche riguardanti la laicità dello Stato quali: la presenza o meno di simboli religiosi negli edifici pubblici di proprietà statale, la possibilità di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche con la proposta di introdurre anche l’insegnamento di altre culture religiose, la possibilità di regolamentare o ritornare discutere su alcuni temi eticamente sensibili, come il divorzio, l’aborto, la fecondazione medicalmente assistita, ecc.
Secondo una concezione ancora più estrema la laicità dello Stato è in discussione ogni qualvolta una norma o una legge venga in qualche modo influenzata da convinzioni morali e non solo religiose. Come nel caso di alcuni articoli del Codice penale: artt. 527 e 529 (Atti osceni), art. 528 (Pubblicazioni e spettacoli osceni), art. 531 (Prostituzione e favoreggiamento), e così via. Quindi uno Stato laico deve essere agnostico. In esso le ideologie, le religioni, l’etica delle maggioranze non devono influire su tutti e i diritti delle minoranze devono essere tutelati comunque. Il concetto di Stato laico sembra essere definito nel suo principio generale ma non nel dettaglio operativo.
Secondo Wikipedia “Il principio di laicità rifiuta qualunque forma di imposizione dogmatica e la pretesa di determinare le proprie scelte morali ed etiche al di fuori di una critica o un dibattito. Esso sostiene l’indipendenza del pensiero da ogni principio morale ed etico, quindi indirizza il dibattito, il confronto e l’apertura, all’autonomia delle scelte personali in ogni settore (politico, sociale, spirituale, religioso, morale)”. In tutto quello che si è detto il problema che rimane, a mio avviso, è quello di riconoscere il confine tra governabilità e garanzia dei diritti di tutti da un lato e l’ingovernabilità e l’aleatorietà del diritto dall’altra.
Cosa è meglio un’etica (anche religiosa) comune o tante “etiche” che possono essere anche fortemente in contrasto tra loro? Nella pluralità c’è ricchezza ma anche pericoloso caos. E ai nostri ragazzi che vogliono regole e certezze nel loro delicato processo evolutivo, a scuola cosa vogliamo dare?
Giuseppe D’Angelo
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