Alcuni anni fa scrivevo alla rubrica di un quotidiano locale una breve lettera, frutto di un confronto con i miei figli, dal titolo “Papà cosa significa precario”.
Era un simpatico dibattito per provare a spiegare loro in maniera semplice la condizione di mia moglie, insegnante precaria, ma anche per rassicurarli sul fatto che in breve tempo tutti i sacrifici della mamma sarebbero stati ripagati.
Oggi, a distanza di quasi trent’anni dall’inizio della sua esperienza lavorativa da insegnante, purtroppo la situazione anziché risolversi, come suggerirebbe qualsiasi paese civile, si è complicata all’inverosimile.
L’attuale Governo ha di recente confezionato, come sappiamo, la “Buona Scuola”, con l’obiettivo ambizioso di riformare un modello organizzativo e didattico che in realtà già ci invidiavano da molti paesi. La sua approvazione infatti, come tutti ricorderanno, è stata tormentata, boicottata e contestata platealmente nelle piazze, nelle scuole e negli atenei.
Conteneva comunque uno zuccherino. Una misura per provare a porre rimedio ad una situazione di prolungata illegalità che vedeva lavorare in maniera pressoché continuativa un elevato numero di precari, situazione per la quale la Commissione Europea aveva condannato l’Italia.
Grazie a questa controversa riforma infatti, un numero significativo di insegnanti precari sarebbe stata stabilizzata, dunque immessa in ruolo. La riforma era complessa, ma a coloro che non avessero aderito all’iter di assunzione, non sarebbe stato consentito di insegnare per più di trentasei mesi ancora, dunque in pochi hanno esitato ad accettare le condizioni di assunzione proposte, sebbene alcuni dettagli fondamentali come la retribuzione, le dinamiche, l’ingresso in scaglioni o le disponibilità erano incomprensibili o del tutto ignote. Dopo aver dedicato buona parte della loro vita all’insegnamento con passione e dedizione, a dispetto di ogni speranza di stabilità, spostandosi da una scuola all’altra, sarebbero stati finalmente assunti a tempo indeterminato.
Per molti di loro l’anno scolastico appena concluso ha rappresentato quindi il fatidico anno di prova. Una corsa ad ostacoli, un mix di formazione, uso di nuove piattaforme informatiche, test, documenti, progetti, relazioni, riunioni, valutazioni, realizzati in parallelo alla attività didattica ordinaria. Un anno svolto con passione e dignità, dinanzi alla surreale prospettiva che le loro attività, non certo frutto di pochi mesi di formazione, ma di una vita di studio ed esperienze sul campo, sarebbero state valutate a fine anno da una commissione che li avrebbe giudicati idonei o meno a svolgere la professione che in realtà svolgevano già da parecchi anni, nel caso di mia moglie da ventotto.
Li accompagnava la consapevolezza che il percorso tracciato sarebbe stato in salita, privo di certezze, senza alcun riconoscimento per la carriera, in un improbabile regime di chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici, per colmare assenze di altri insegnanti con il cosiddetto potenziamento, ma hanno ingoiato il boccone amaro pur di conquistare ciò che nei fatti era stato dichiarato dalla legge e dalla comunità europea da tempo un loro diritto.
Adesso finalmente, proprio in queste ore, mia moglie, come tante altre decine di migliaia di orgogliosi insegnanti neoassunti, ha ricevuto comunicazione della “destinazione” dove prendere servizio. Dopo estenuanti attese e rinvii nel silenzio assoluto del ministero, queste sono state infatti finalmente rese pubbliche. Ma c’è una sorpresa assai amara.
Nel suo caso, come purtroppo nella maggior parte dei casi, quasi la totalità per gli insegnanti del sud, tutto ciò avverrà fuori dalla loro regione, lontano dalle proprie case e dai propri affetti, saranno infatti costretti a spostarsi a centinaia di chilometri da casa. I numeri parlano chiaro. E’ sufficiente guardare i dati disponibili in queste ore in rete, per realizzare che tutto ciò si concretizzerà sin dai prossimi giorni in un esodo senza precedenti, uno tsunami, una vera e propria deportazione di massa, che colpirà in particolar modo gli insegnanti precari del sud Italia.
Al danno si aggiunge la beffa. Coloro che hanno superato il concorso 2012, personale assunto con altri contingenti con punteggi ben più bassi e personale già in forza, ma in attesa di trasferimento, stanno scavalcando di fatto praticamente tutti, anche coloro che come mia moglie si trovavano in testa alle precedenti graduatorie, trasformando questa operazione in una colossale beffa per la maggior parte di coloro i quali era stata concepita almeno nei proclami del governo.
In particolare tutti coloro che hanno superato l’ultimo concorso in Sicilia sono stati assunti, a differenza di chi, invece, come mia moglie, pur avendone superati ben sei nelle passate tornate è rimasta inutilmente in attesa di uno scorrimento di graduatorie che regolarmente venivano subito chiuse. Una permanenza infinita nelle Graduatorie ad Esaurimento in attesa di una dovuta stabilizzazione.
Sono proprio loro i precari delle GaE, sfruttati in maniera indegna per decenni, che hanno tenuto in vita la nostra scuola, tappando buchi, coloro che proprio adesso dovrebbero essere i primi ad essere riconosciuti, ma vengono umiliati, bistrattati e calpestati. I loro diritti sono stati ancora una volta lesi dai criteri discutibili e ingiusti sanciti dalla legge 107.
Nonostante la consapevolezza dei rischi di trasferimento che si sarebbero corsi in sede di presentazione di domanda, non era certo immaginabile un risultato di queste proporzioni.
L’algoritmo utilizzato dal sistema informativo per la valutazione è un mistero. E’ difficilmente comprensibile come una persona che si trovava fino all’anno precedente in testa alle graduatorie provinciali, possa oggi improvvisamente veder ribaltata la sua posizione, scavalcata da trecento colleghi e addirittura non trovare collocazione nella propria regione, dove sono stati destinati nella sua classe di concorso duemila colleghi, pur avendolo indicato nelle priorità di assegnazione ogni singola provincia.
Questo destino è stato riservato a buona parte dei colleghi di mia moglie assunti in questa fase, provenienti dalle GaE, persone che hanno già dedicato buona parte della loro vita allo stato e non meritano certo di vedere i loro diritti ancora una volta calpestati in maniera evidente, maldestra e gratuita.
E’ l’ennesimo tentativo di uccidere la nostra scuola, la nostra generazione, il nostro meridione, privandoci ancora una volta di ogni certezza, prospettiva o speranza.
Quello che sta succedendo è inquietante. Si tratta di una situazione gravissima ed è indispensabile che qualcuno intervenga rapidamente per garantire trasparenza, scongiurare un inatteso dramma per decine di migliaia di famiglie e trovare una soluzione più idonea e funzionale che non leda in maniera così forte chi ha già sacrificato vent’anni o più della propria vita lavorativa e familiare.
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