Qualche giorno fa un insegnante di Lettere ha lanciato il guanto di sfida che, c’era da giurarci, è stato raccolto da alcuni colleghi che invece di porgere un ramo d’olivo con sopra la colomba di Picasso, hanno pensato: “se guerra deve essere, che guerra sia!”.
E infatti i commenti, a favore o contro, non si sono fatti attendere. Vanno da chi è convinto che insegnare Arte, Musica, Tecnologia, Motoria, Francese et similia sia paragonabile a una passeggiata per i boschi a raccogliere funghi, ai martiri che insegnano Lettere che trascorrono le notti, le domeniche e le feste comandate a correggere compiti.
Il tutto inframmezzato da alcuni commenti dove viene sottolineato che un sano corporativismo, piuttosto che pugnalare alle spalle chi lavora quotidianamente al proprio fianco, sarebbe stato più opportuno. Ciò che fa sorridere – io, mi scuserete, non riesco proprio ad indignarmi per questi luoghi comuni che ormai non si sentono neppure nei bar – non è tanto la mancanza di corporativismo, ma l’abbondanza di stereotipi e pregiudizi presenti in una lettera scritta da chi, gli stereotipi e i pregiudizi, dovrebbe combatterli e non alimentarli.
Di questo passo non mi meraviglierei di leggere una lettera dove qualche insegnante sosterrà, con tanto di inequivocabili prove alla mano, che l’Arte e la Musica non sono vere e proprie materie scolastiche, ma dei passatempi paragonabili al gioco delle carte o, ad essere generosi, al tiro al piccione.
Argomento, d’altra parte, attualissimo. Con l’unica differenza che, al posto del piccione, il protagonista sarebbe, – almeno a sentire la pedagoga Littizzetto – l’insegnante non empatico.
Augusto Secchi
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