Valutare la qualità di un insegnante è proprio così semplice?
E non è forse anche troppo semplice il metodo scelto dalla “Buona scuola” che si fonda su elementi molto soggettivi, con il rischio di ottenere risultati diversi da quelli sperati?
La Voce.info entra con una analisi puntuale su questo tema delicato e nello stesso controverso perché se per un verso sarebbe opportuno valutare i docenti, dall’altro ne esamina i rischi, almeno quelli sottesi al metodo scelto da questa amministrazione politica. Sembrerebbe infatti iniziativa lodevole quella di corrispondere un bonus ai docenti più meritevoli, poiché nel settore pubblico è di cruciale importanza distinguere tra lavoratori che svolgono con impegno il proprio lavoro e lavoratori che sfruttano la “posizione protetta” per fare poco. Ma il metodo scelto, puntualizza La Voce, per individuare “il merito” rischia di creare più danni che benefici.
Bisogna innanzitutto chiarire che riuscire a premiare i meritevoli non è affatto facile. L’insegnamento è un’attività complessa di cui non è agevole misurare né il contributo fornito dai docenti (tempo dedicato a preparare le lezioni e a correggere i compiti, la disponibilità verso gli studenti e altro ancora) né l’effetto prodotto sulla preparazione degli studenti. Quest’ultima dipende dalla qualità dell’insegnamento, ma anche da molti altri fattori quali impegno, abilità, ambiente familiare, condizioni sociali. Inoltre, la preparazione degli studenti può essere misurata in diversi modi, attraverso la valutazione dei docenti, con il ricorso a test standardizzati, facendo riferimento al successo nelle successive fasi formative oppure sul mercato del lavoro.
Tutti questi aspetti rendono ardua l’impresa di distinguere un insegnante meritevole da uno che lo è di meno.
Trattandosi di un’impresa importante alcune nazioni straniere hanno legato la retribuzione dei docenti a qualche misura ben specificata di performance, ad esempio i risultati ottenuti dagli studenti in test standardizzati, come negli Stati Uniti. Tuttavia, specifica la Voce, si tratta di meccanismi imperfetti che, come molti studi denunciano, possono indurre i docenti a “insegnare per il test” e a trascurare altre importanti attività formative. Si tratta di sistemi che possono creare benefici, ma anche costi e per capire se è il caso di utilizzarli bisogna ponderare diversi aspetti. In ogni caso, hanno però il vantaggio di basarsi su criteri oggettivi che non lasciano spazio all’arbitrarietà e permettono scelte chiare.
Al contrario, il sistema introdotto in Italia è fondato su elementi fortemente soggettivi. Il bonus verrà, infatti, corrisposto in base ai criteri individuati da un comitato di valutazione istituito presso ogni scuola. Tra quelli da utilizzare per la valutazione, la legge menziona la qualità dell’insegnamento, il successo formativo e scolastico degli studenti, le innovazioni didattiche e le responsabilità assunte. Trattandosi di una pluralità di fattori, è evidente che si delega al comitato di valutazione la scelta di cosa debba intendersi per “merito”. Ne segue che pesando in maniera diversa i fattori menzionati nella legge è possibile favorire alcuni a discapito di altri.
La composizione del comitato di valutazione (imposta in sede di dibattito parlamentare) peggiora ulteriormente, chiarisce La Voce, la situazione. Il comitato è presieduto dal dirigente scolastico ed è composto da tre docenti, un componente esterno, due rappresentanti dei genitori (scuola dell’infanzia e primaria) oppure un rappresentante dei genitori e un rappresentante degli studenti (scuola secondaria).
Il fatto che i docenti siano valutati da colleghi non aiuta a creare un clima di serenità e imparzialità, perchè c’è il rischio che ciascun docente cerchi di influenzare le decisioni del comitato con comportamenti non certo utili al buon funzionamento della scuola o che comunque ciascuno si senta condizionato dal timore di ripicche e ritorsioni. La presenza di rappresentanti degli studenti e dei genitori non pone problemi meno gravi poiché si tratta di soggetti che solitamente non dispongono di sufficienti competenze e che potrebbero voler premiare insegnanti non troppo esigenti e disposti a dare buoni voti anche a studenti non particolarmente meritevoli.
Vi è quindi il rischio di esiti molto negativi, come quelli sperimentati in Portogallo, dove nel 2006-07 è stato adottato un sistema simile al nostro. Secondo uno studio portoghese infatti questo sistema ha portato addirittura a un peggioramento della performance degli studenti agli esami esterni e a una “inflazione” dei voti assegnati dai docenti.
Si tratta di risultati non sorprendenti. È vero che le valutazioni soggettive vengono utilizzate nelle imprese private, ma lì a valutare è spesso l’imprenditore stesso (o una persona da lui delegata) che in caso di scelte sbagliate paga direttamente un costo. Nel settore pubblico l’uso di questi metodi è molto più problematico poiché spesso non ci sono sistemi efficaci per imporre un costo a chi effettua valutazioni non dettate dall’interesse comune, ma ispirate da convenienze e preferenze personali.
Se dunque anche La Voce.it, testata che si è sempre distinta per l’oggettività delle analisi, marchia a fuoco questo sistema di valutazione voluto dal governo Renzi, significa proprio che chi dirige la scuola italiana, e l’istruzione italiana, ha qualche elemento di confusione fra le proprie carte (poco sudate certamente) oppure si è lasciato afferrare dalla foga riformatrice senza capire bene gli abissi che certe scelte possono aprire.
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