Oggi mia madre mi ha detto che sono come Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento. Ci sono rimasta male. Ma in fondo ha ragione lei.
Mi ostino a valutare i ragazzi per quel che realmente valgono e allora, ecco quelle fastidiose insufficienze che tanto richiamano l’ attenzione dei genitori.
Genitori sempre pronti a puntare il dito, dritto e rigido, verso il docente, che non sa spiegare, che non è preparato, addirittura del tutto inadatto all’insegnamento.
Genitori, incapaci di giudicare i loro figli per quello che realmente sono.
Figli, spesso disadattati in una società cieca ai loro bisogni, espressioni del loro egoismo
che li vuole perfetti ma non dedica loro il tempo dovuto: il tempo genuino fatto anche di rimproveri, punizioni, negazioni e non solo di sterili aiuti tanto per alleggerirsi la coscienza.
Figli che non sono mai colpevoli per quelle insufficienze perché altrimenti sarebbero colpevoli loro stessi, che si proiettano in loro.
L’insuccesso del figlio è visto come il loro personale insuccesso. Questo non è umanamente accettabile. Il colpevole deve essere qualcun altro.
Chi meglio del docente che si è permesso, tanto impunemente, di valutarli così negativamente?
Ma d’altronde, come dare colpa a questi genitori?
Sono stati abituati al nostro buonismo, alla nostra comprensione infinita, al far poco dei loro figli per ottenere, sempre e comunque, tanto, alla promozione scontata.
E che dire di noi stessi insegnanti? Siamo stanchi, troppo stanchi. Perché darsi tanto cruccio se poi devi fare tutti promossi?
E allora ecco che in pagella si vedono sempre tanti , veramente tanti“ sette”.
Il “sette” simbolo della nostra definitiva sconfitta, del nostro insuccesso come educatori e insegnanti.
Perché non è vero che quando un alunno va male, la colpa è sempre e solo dell’insegnante. Questo è quello che ci vogliono fare credere, per insinuare in noi quel letale senso di colpa che poi ci induce ad essere timorosi e vigliacchi, incapaci di giudicare realmente i nostri alunni per paura di essere giudicati noi stessi.
Arianna Ragusa
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