Questa la radiografia della classe docente italiana appena completata dai tecnici del Ministero della Pubblica Istruzione riferita all’anno scolastico in corso, il 2006/2007.
Più precisamente: la media degli insegnanti ultracinquantenni, di ruolo o precari, in servizio nel corrente anno scolastico è del 52% con un incremento di un anno e mezzo, rispetto ad un anno addietro, che era del 49,9%.
Sono addirittura quarantamila su novecentomila gli insegnanti con oltre sessanta anni.
Gli under 30 rappresentano una sparuta percentuale: solo il 6%.
Il fenomeno si è evoluto negativamente in quest’ultimo decennio. Basti pensare che nell’anno scolastico 1997/98 gli insegnanti con meno di trent’anni di servizio erano la metà rispetto a quelli di oggi.
A farla da padrona è, ancora una volta, il gentil sesso. Quest’anno su dieci cattedre, addirittura otto sono occupate da donne.
È, questa, come è fin troppo noto, la conseguenza della sottovalutazione dell’attività dell’insegnamento che nel collettivo sociale è ritenuta scarsamente impegnativa sia dal punto di vista della qualità che da quello del tempo richiesto.
Oggi, invero, queste considerazioni dovrebbero essere state superate largamente: l’insegnamento si è fatto attività che richiede prestazioni e capacità di notevole spessore tecnico e professionale.
Gli stessi tempi di occupazione scolastica si sono vertiginosamente dilatati tanto che in alcune giornate le attività di insegnamento, e quelle connesse, richiedono un tempo pari, se non superiore, a quello di attività che occupano l’intera giornata lavorativa.
Molte sono le cause dell’invecchiamento della classe dei docenti italiani. Innanzitutto l’esiguo turn over imposto dai governi con le loro politiche previdenziali, come l’innalzamento dell’età pensionabile, che non hanno sollecitato molti insegnanti anziani a lasciare la scuola per fare posto alle giovani leve.
Né è servito il fatto che si sia attinto, e si attinga, alle supplenze atteso che l’età media dei precari ha da tempo superato i quaranta anni tanto che incontrare insegnanti con i capelli bianchi tra i banchi non è più una sorpresa.
Fin qui i dati, aridi e freddi, ma che per essere decantati dalla loro astrattezza debbono, necessariamente, essere correlati a tutta una serie di considerazione che attengono innanzitutto alla qualità dell’offerta formativa che la scuola è tenuta ad assicurare a tutti gli alunni. Questo perché l’attenzione oltre che alla quantità, ai dati numerici, insomma, deve essere rivolta alla qualità della prestazione dell’insegnamento.
Non è dimostrato, né può essere facilmente dimostrato, che gli insegnanti italiani, pur alla soglia della loro carriera, hanno acquisito negli anni quelle riconversioni professionali richieste dalle impellenti trasformazioni della società e della scuola.
Lo stesso Stato, è innegabile, pur avendo investito somme ingenti, non ha fatto granché per migliorare in questi ultimi anni la formazione degli insegnanti lasciati, per non dire abbandonati, ad iniziative di formazione e di aggiornamento in servizio vuote, inutili, da dopolavoro scolastico, che si sono ridotte a perdita di tempo e a compromette, più che migliorare, la professionalità.
A tutti i livelli, si sono svolte, e si svolgono ancora, iniziative che rispondono al solo fine della presenza a scuola, al completamento dell’orario istituzionale del contratto nazionale di lavoro e al pagamento delle ore di eccedenza.
Né a migliorare la professionalità degli insegnanti sono serviti, o servono, i cosiddetti progetti che tanta pace, per non dire serietà, hanno tolto, all’intera comunità scolastica.
Questo solo per accennare alla vasta gamma di problemi che si correlano ai dati di sopra sull’anzianità e che sono in stretta relazione con la riconversione professionale degli insegnanti.