È dal tempo di Rosa Russo Iervolino a capo del ministero dell’Istruzione, che si procede a riformare la scuola secondo le più svariate idee politiche del ministro di turno. Il termine riforma scolastica riecheggia da anni nelle nostre orecchie come potrebbero fare le sillabe di una parola urlata all’interno della grotta artificiale dell’orecchio di Dionisio di Siracusa. Una riforma perenne quella della scuola pubblica italiana che è in atto da oltre venti anni.
Chi non ricorda il famigerato decreto taglia classi attuato nel 1992 dalla ministra Iervolino? Un taglio fatto sulla pelle dei precari che hanno dovuto aspettare quasi un decennio per avere un concorso a cattedra.
Un’altra riforma volta a tagliare le lezioni private dei prof, fu l’eliminazione degli esami di settembre delle scuole superiori, voluta tenacemente dal successore della Iervolino, Francesco D’Onofrio dell’ormai scomparso CCD.
La furia riformista di D’Onofrio fu placata dalla repentina caduta del primo Governo Berlusconi travolto dall’anticipazione di un avviso di garanzia pubblicato nella prima pagina del Corriere della Sera mentre presiedeva una conferenza internazionale sulla criminalità organizzata a Napoli tra i sette grandi della terra.
Poi arrivò Giancarlo Lombardi con un bagaglio di esperienza acquisito come vicepresidente di Confindustria.
Quindi ecco arrivare altre idee riformiste che cominciarono dando potere, attraverso una famosa circolare ministeriale, ai consigli di classe delle scuole secondarie di trasformare il voto 4 proposto da un docente allo scrutinio finale in 6.
Nasce così il voto di Consiglio, che mina profondamente l’autonomia del singolo docente, sottomettendolo al volere del Consiglio di classe. Nascono sotto Lombardi e il Governo Dini i corsi di recupero per aiutare gli studenti somari, responsabilizzando eccessivamente la scuola e i prof degli insuccessi di alunni che non avevano voglia di studiare o che avevano sbagliato indirizzo di studi.
Dopo Lombardi arriva il ministro più riformista di questo ultimo ventennio: Luigi Berlinguer. A lui dobbiamo la riforma degli esami di Stato del secondo ciclo e il tentativo della riforma dei cicli scolastici con la riduzione di un anno del percorso scolastico, poi abrogata da Letizia Moratti. Luigi Berlinguer è da considerarsi il padre dell’autonomia scolastica, del passaggio a dirigente scolastico della vecchia figura di preside, ma sarà anche ricordato per l’approvazione della legge n.62/2000 sulla parità scolastica tra scuola pubblica e scuola paritaria. Poi Berlinguer dovette abdicare per avere tentato di riformare la valorizzazione professionale dei docenti attraverso il famoso “concorsone”, una prova basata su quiz e colloquio per diversificare economicamente e professionalmente la carriera dei docenti.
Poi ci provò Letizia Moratti con al suo fianco Valentina Aprea a riformare la scuola. Una politica fatta di tagli e blocco prolungato delle immissioni in ruolo. La Moratti aveva elaborato e realizzato una legge di riforma del sistema scolastico che non ha mancato di suscitare reazioni e proteste.
Fu la Moratti a reintrodurre anche per le scuole superiori il voto in condotta. La riforma Moratti, varata con legge 28 marzo 2003, n. 53, prevedeva alcune modifiche nell’ordinamento scolastico italiano, abolendo la riforma Berlinguer varata nel 1997. La riforma Moratti è stata poi cancellata e sostituita dal ministro Giuseppe Fioroni del Governo Prodi. In buona sostanza la riforma della scuola era una tela di Penelope che veniva disfatta e rifatta a seconda del Governo in carica.
Beppe Fioroni noto come il ministro con il cacciavite per smontare la riforma Moratti, introdusse la sospensione del giudizio e gli esami di fine agosto per l’ammissione o non ammissione alla classe successiva per gli studenti con debito scolastico. Dopo il contratto della scuola firmato durante il ministero Moratti, quello del periodo Fioroni fu l’ultimo contratto scuola ed è tutt’ora vigente.
Un contratto che risale nientemeno al 2007 ed è scaduto dal 2009. Dopo Fioroni arriva il piatto forte dei tagli miliardari della Gelmini che si onora di avere fatto la riforma della scuola, mandando definitivamente in pensione la vecchia scuola di stampo gentiliano.
Il ministro Gelmini ha fatto evaporare nel tunnel neutrinico oltre 8 miliardi di euro, operando tagli pantagruelici che nessun altro ministro riformista era riuscito a fare. Dopo la Gelmini ricordiamo il recente tentativo di Francesco Profumo di aumentare l’orario di servizio dei docenti da 18 a 24 ore settimanali a parità di stipendio. Tentativo naufragato per la vicinanza delle elezioni politiche svolte nel 2013.
Dopo Profumo c’è stata la parentesi di Maria Chiara Carrozza con i suoi buoni propositi del decreto “La scuola riparte”.
Nulla è ripartito e la ministra Carrozza ha dovuto lasciare, insieme a tutto il suo Governo, il passo a Renzi e alla Giannini, che per promesse e propaganda sono bravi, ma le loro idee di riforma sulla scuola fanno molta paura. In buona sostanza gli insegnanti hanno vissuto venti anni di riforme della scuola, sempre volte a tagliare risorse economiche ad aumentare carichi di lavoro e ad eliminare diritti contrattuali. Gli insegnanti stanno vivendo uno stato ipnotico riformista della scuola senza che abbiano la forza di reagire e dire basta ad una “Casta politica” di ministri incompetenti che di scuola non capiscono proprio nulla.
Intanto la scuola italiana peggiora, il lavoro degli insegnanti è diventato insopportabile, gli studenti sono sempre più impreparati ad affrontare la vita e i ministri si succedono senza avere la bussola per costruire una scuola migliore con insegnanti più felici e motivati.
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