Lo sciopero del 5 maggio scorso ha dimostrato, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto sia difficile far capire ai governi quali siano le necessità e le urgenze per cambiare il mondo della scuola, ma ha mostrato anche la necessità di una riorganizzazione complessiva del modo di scioperare, di fare sindacato, di una partecipazione fattiva degli insegnanti alla definizione della riforma della scuola.
Lo sciopero così come viene organizzato è desueto, e come stanno dimostrando le reazioni da parte degli esponenti del governo, poco efficace, oltre che svantaggioso per i docenti. Un sistema vecchio che è necessario rinnovare. Da una parte i sindacati sembrano non riuscire più a rappresentare le reali istanze della scuola, dall’altra sembrano non godere di credibilità neanche davanti alla società.
La realtà è molto complessa, ma da parecchi anni gli scioperi sono di tipo difensivo, cioè è sempre il governo a prendere decisioni, che vanno contro i docenti in termini di retribuzione, di tagli, di riduzione della liberta di insegnamento e altro. Le successive azioni servono solo a ridurre i danni e non per raggiungere quegli obiettivi che tutti gli operatori della scuola vorrebbero. Il DDL deve essere ritirato, ma noi docenti, assieme alle altre componenti della scuola, studenti e genitori, dobbiamo organizzarci e presentare proposte e non lasciare neanche che i partiti si impadroniscano delle proteste per poi abbandonarci dopo eventuali elezioni.
Vi sono sicuramente delle problematiche, delle criticità, da affrontare e superare. Eccone alcune.
Frammentazione rappresentativa. Gli insegnanti hanno scelto, per essere rappresentati, una decina di sindacati, e quindi sono divisi. Dai confederali CGIL, CISL, e UIL, passando attraverso lo SNALS, la Gilda, i Cobas, gli Unicobas e altri, sono troppe le sigle. All’incontro con i rappresentanti del governo le sigle erano 15! Nei sindacati storici i docenti sono una parte minima degli iscritti, la scuola in pratica rappresenta una sezione del sindacato. Le stesse sigle evidenziano le differenze tra le diverse categorie di insegnanti, creando contrapposizioni solo per accaparrarsi più iscritti, ma di fatto incrementano le divisioni. Questa frammentazione non aiuta i docenti ad essere rappresentati con forza di fronte al governo. I docenti hanno bisogno di un’unica forza sindacale che li unisca e non li separi. La rappresentatività degli insegnanti è inoltre sempre a rischio perché i sindacati spesso non si trovano d’accordo. E’ necessario che tutti capiscano l’importanza che si sia uniti, ma si devono cercare motivi per esserlo.
Creare un nuovo movimento. É necessario abbattere le barriere che dividono gli insegnanti in compartimenti stagni: maestri delle elementari, docenti delle medie, docenti delle superiori. Si devono individuare linee di continuità tra i diversi gradi di scuola, ma anche per e tra i docenti. Bisogna trovare idee che uniscano, che ricompattino. Una potrebbe essere la retribuzione: stesso titolo, stesso stipendio. Un laureato delle elementari è nella formazione dello scolaro altrettanto importante di uno universitario o delle superiori. A tutti gli insegnanti dovrebbe essere garantito un anno sabbatico per dedicarsi agli studi universitari o per fare ricerca. Altro criterio aggiuntivo: stesso titolo, stesso stipendio, ma anche stesso numero di ore lavorative. Questi criteri comuni agevolerebbero la nascita di un nuovo movimento tra tutti gli insegnanti, per ovviare alla frammentarietà ci vogliono gli Insegnanti Uniti.
Lo sciopero indebolisce i docenti. Da tempo lo sciopero porta, purtroppo, ad un’inutile perdita dello stipendio e, siccome non si ottengono i risultati sperati, a un calo del morale, della fiducia in se stessi e nella categoria. Già Berlusconi agli scioperi degli insegnanti aveva contrapposto battute in cui evidenziava che le manifestazioni portavano ad un grosso risparmio per le casse dello stato e quindi avvantaggiava il governo. L’atteggiamento di Renzi è addirittura peggiore, perché anziché prendere seriamente in considerazione le ragioni della protesta del mondo della scuola, reagisce con uno sberleffo. Gli scioperi devono invece rafforzare il potere contrattuale degli insegnanti e perché ciò avvenga è necessario trovare forme di protesta alternative allo sciopero tradizionale, cioè all’assenza dal posto di lavoro, che dovrebbe essere sempre l’ultima ratio. Prima di assentarsi dal posto di lavoro bisogna utilizzare altre forme di dissenso e critica propositiva, come dichiarazioni ufficiali di protesta, uso delle reti sociali, ecc. I docenti hanno le armi per paralizzare il sistema scuola senza perdere un euro! Non si deve dimenticare inoltre che se i docenti si battono per una buona scuola, per una scuola davvero attenta e seria, i primi loro alleati sono gli studenti e i genitori. Il rapporto docenti e genitori viene regolarmente sottovalutato, mentre può essere un altro punto di forza imprescindibile.
Costituzione di un fondo per difendere i diritti degli insegnanti. Chi è iscritto ad un sindacato versa ogni mese un contributo che varia a seconda dello stipendio. Dove va a finire? Si utilizza per pagare i nostri rappresentanti sindacali? Questo contributo invece, dovrebbe essere usato soprattutto per rimborsare il personale scioperante. Tredici o quindici euro al mese, se lo moltiplichiamo per dodici otteniamo tra i 156 e i 180 euro. In due anni diventano approssimativamente tra 312 e 360, già sufficienti per avere il rimborso di tre o quattro giornate di sciopero. In Islanda questo, ma anche l’obbligatorietà per tutti di aderire allo sciopero una volta votata l’adesione, è realtà! Immaginiamoci quanto impatto avrebbe uno sciopero di quattro giorni o più, in cui si riavrebbero indietro i soldi versati al fondo. I docenti riacquisterebbero fiducia e sicurezza, oltre al prestigio dato da un nuovo modo di concepire lo sciopero.
I docenti devono avanzare proposte. Sono molte le critiche da parte di chi non conosce il mondo della scuola, nei confronti dei docenti, soprattutto per quanto riguarda il numero delle ore lavorative. Quelle indicate nei vecchi contratti non sono veritiere. Occorre far emergere il sommerso, renderlo visibile a tutti, inserirlo nel nuovo contratto, disporlo in modo diverso, renderlo comprensibile. Sono necessari almeno trenta minuti per preparare ogni ora di lezione. Questo significa, per le medie di primo e secondo grado, aggiungere alle 18 ore di lezione frontale, altre nove ore, e si arriva a ventisette. A queste si devono aggiungere le altre ore per la correzioni dei compiti, quelle per la programmazione disciplinare e interdisciplinare, quelle per l’aggiornamento, per gli incontri con gli alunni e i genitori, ecc. Insomma si arriva a 36/40 ore alla settimana con molta facilità. Queste ore si dovrebbero svolgere a scuola. Potrebbero essere documentate e in questo modo, finalmente si renderebbe giustizia alla categoria. I docenti dovrebbero essere retribuiti per questo numero di ore e poter godere delle ferie come tutti gli altri lavoratori!
Lo sciopero deve diventare offensivo. Negli ultimi vent’anni, la scuola non ha mai avuto un Ministro della Pubblica Istruzione che difendesse i diritti degli operatori della scuola. Soprattutto fango addosso agli insegnanti. I governi hanno sempre fatto il primo passo verso proposte di riforma. Lo sciopero ha sempre avuto il compito di difenderci dagli attacchi e cercare di riguadagnare terreno rispetto a quello che ci veniva tolto. Si deve invertire la tendenza. Gli scioperi devono essere un’iniziativa tesa ad avanzare proposte elaborate dalla scuola, dai suoi operatori, dai docenti. I docenti devono passare all’attacco, fare richieste chiare. Lo sciopero deve diventare offensivo, e lo potrà diventare se ci si attrezza dei necessari strumenti, che siano contrattuali o economico-finanziari, come detto sopra.
Adeguamenti stipendiali. Gli insegnanti non possono più tollerare che i loro stipendi siano così bassi. Sono probabilmente i laureati con gli stipendi più bassi, inferiori non solo dei diplomati, ma anche di altre categorie con semplici specializzazioni. Senza parlare degli stipendi dei colleghi europei. Una volta tolti i falsi vantaggi legati a orari e ferie, l’aumento stipendiale dovrebbe essere automatico. Se venissero riconosciute le ore effettivamente svolte dagli insegnati un aumento dello stipendio del 30/40% potrebbe essere la prima richiesta della categoria. Questa potrebbe essere effettuata solo da una forza unitaria e rappresentativa. Un sindacato forte, un Sindacato Insegnanti al quale ci si dovrebbero iscrivere in massa, ovviando così alla frammentarietà e alla poca rappresentatività.
I docenti devono farsi valutare. Da anni i vari ministri e governi cercano di avanzare proposte per valutare il lavoro degli insegnanti e noi ci opponiamo. Ce lo chiede anche la società. Se non accettiamo le riforme calate dall’alto dovremmo elaborane noi di proposte per la nostra valutazione e queste dovrebbero unire il corpo docente e non creare disparità che porterebbero alla disgregazione della comunità scolastica. Gli aumenti stipendiali dovrebbero essere garantiti a tutti. La valutazione potrebbe essere affidata ai membri della comunità stessa: alunni, genitori, docenti, preside, ma anche a un’entità esterna che potrebbe essere un ispettore. Semestralmente gli alunni ei genitori potrebbero essere tenuti ad esprimere un giudizio anonimo, sull’operato dei docenti e del preside. Se i giudizi sono negativi, saranno da considerarsi validi, solo se motivati. I docenti che non ottengono la sufficienza vengono convocati dal preside che, assieme all’ispettore, cercherà di capire le ragioni dell’insuccesso e trovare soluzioni. Non si deve nascondere che una percentuale di docenti non è all’altezza del compito perche considera l’insegnamento un ripiego o lo fa senza passione, senza amore per gli studenti. Questi insegnanti rovinano la reputazione del comparto e andrebbero allontanati dall’insegnamento frontale!
Preside espressione della comunità scolastica. Renzi ha parlato di preside come il sindaco della scuola, ma come lo ha impostato lui si tratterebbe piuttosto di un podestà. Il sindaco è eletto dai cittadini, allora la vera proposta potrebbe essere che il preside venga eletto dalla comunità che rappresenta, cioè dai docenti, dagli alunni (almeno alle superiori), dai genitori e dal personale ATA. L’incarico potrebbe essere biennale o triennale, e dopo questo periodo seguirebbero nuove elezioni. Il preside incaricato usufruirebbe di un aumento stipendiale adeguato e i suoi collaboratori potrebbero essere quelli meno votati dopo di lui. La durata a termine darebbe la possibilità a diversi docenti di cimentarsi nel ruolo ed eviterebbe la creazione di un muro, a volte insormontabile, tra docenti e dirigente. Anche il preside dovrebbe essere valutato dalla comunità scolastica. Le nomine dei nuovi docenti sarebbe meglio che restassero di competenza amministrativa.
Centralità della cultura, della scuola, dell’università e della ricerca. La scuola è in una crisi continua. La scuola pubblica è oggetto di attacchi senza soluzione di continuità. Con i finanziamenti alla scuola privata, il governo è colpevole del non rispetto della costituzione. La cultura, la scuola, l’università devono riacquistare un ruolo di centralità nella società e la scuola deve restare pubblica e premiare i meritevoli e le intelligenze. Il governo deve destinare a questo settore una percentuale del PIL in linea con i paesi avanzati. I fondi dovrebbero essere portati ad almeno il 2,5 %. Solo così potrà davvero diventare una superpotenza della cultura, dell’educazione, della formazione.
Esportare la lingua e la cultura italiana. L’Italia, paese con un patrimonio artistico incommensurabile, di bellezze paesaggistiche, di bontà enogastronomiche, non deve rinunciare a esportare la sua lingua e la sua cultura, ripristinando i posti di lettore, gli Istituti Italiani di Cultura nel mondo. L’apprendimento della lingua da parte di uno straniero è il primo passo verso la creazione di un turista che si reca in Italia, spende per l’Italia e aiuta la sua economia. Solo in questo modo si passerebbe dalle parole ai fatti. L’italiano, grazie anche ai lettori è diventata la quarta lingua al mondo studiata nelle università straniere. Il governo ha quest’anno tagliato più del 30% dei lettori, lasciando sguarnite molte università straniere dove il numero di studenti era alto. Il governo sta rinunciando a fare politica culturale all’estero con gravi danni per l’Italia. Questo mentre paesi come il Giappone, la Cina e altri investono tantissimo per diffondere la loro lingua e la loro cultura.
Caro Renzi, ci vogliono fatti, non parole!
Una scuola, che diventi fiore all’occhiello del nostro paese e che possa ben figurare tra le nazioni più progredite al mondo, è una scuola che riesce a capirsi, a farsi capire dalla società di cui è espressione, a dialogare con essa, e gli insegnanti hanno tutta l’intelligenza per farle fare questo salto di qualità con o senza questo governo.
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