“Sembra che vi sia una sorta di accanimento nel non consentire a certi dipendenti, come gli insegnanti, l’uscita anticipata dal lavoro: non intendiamo riportare le lancette indietro di alcuni decenni, ma semplicemente riconoscere che dopo i 60 anni di età e una vita di lavoro, il diritto alla quiescenza sia un diritto sacrosanto”. Lo dice alla ‘Tecnica della Scuola’ Manuela Calza, segretaria nazionale Flc-Cgil, commentando l’attuale tendenza del Governo a limitare le vie d’uscita anticipata per i lavoratori della scuola anziché allargarne l’impiego come del resto era stato promesso durante la campagna elettorale per le elezioni politiche di due anni fa in particolare dalla Lega guidata da Matteo Salvini.
Calza, vero che insegnare è stressante?
Rispetto ad altri settori, l’insegnamento, come anche le altre professioni che vengono esercitate nel sistema scolastico, produce un livello di stress notevole: ciò avviene perché il lavoro del docente comporta un sistema di relazioni molto complesso. Ovviamente per il rapporto con gli alunni, ma anche per la forte collegialità, che innesca relazionalità a diversi livelli, come pure spesso diventa stressante il rapporto con le famiglie e i dirigenti. Ricorso che il personale della scuola, nella grande maggioranza è femminile ed è quindi impegnato spesso su più fronti. E le donne vivono con difficoltà i tempi della vita familiare con quella del lavoro: ciò comporta anche interruzioni lavorative, che rendono la carriera frammentata con tutte le penalizzazioni che conosciamo.
Da parte del Governo c’è un’apertura per andare incontro ai lavoratori?
Abbiamo visto che l’attuale Governo ha sostanzialmente affossato l’istituto ‘Opzione donna’, attraverso il quale c’era la possibilità di uscita dal lavoro anticipata. Stiamo quindi andando nel verso contrario; rimane la cosiddetta indennità dell’Ape sociale, da attuare circa 63 anni in attesa del raggiungimento dei requisiti necessari, però è molto circoscritta: nella scuola è infatti limitata per i maestri della scuola dell’infanzia e per quelli della primaria (il 2024 sarà per queste ultime il secondo e ultimo anno n.d.r.). Noi pensiamo che andrebbe offerta a tutti maggiore flessibilità, che tenga conto delle condizioni delle condizioni professionali, personali (legate alla famiglia) e della salute propria.
Obbligare un insegnante di oltre 60 anni di età stanco e con disturbi fisici, spesso anche vittima del burnout, può creare un disservizio pubblico?
Questo è lampante, le condizioni devono essere prima di tutto riconosciute, anche in altri settori, dove sembra vi sia una sorta di accanimento non consentire a certi dipendenti l’uscita anticipata dal lavoro: non intendiamo sicuramente riportare le lancette indietro di alcuni decenni, ma semplicemente riconoscere che dopo i 60 anni di età e una vita di lavoro, il diritto alla quiescenza sia un diritto sacrosanto per tutti.
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