La sostanza dell’essere operatore della conoscenza è esattamente quella di lasciare un segno (sperando sempre positivo e mai traumatico e negativo), accompagnata dal sapere giudicare e valutare i proprio discepoli con giustizia, equità e oggettività in riferimento ai livelli previsti dalla disciplina nei vari gradi di livello di formazione scolastica e culturale.
Spesso la valutazione definitiva può avvenire solo alla fine di un intero anno e/o un biennio. Di bibliografia, di studi e di saggi sull’arte di insegnare sono piene le biblioteche, ma spesso quegli scritti restano lettera morta. Nessuno a nessun altro può insegnare ad insegnare perché saranno piuttosto la pratica, l’esperienza sul campo, gli inevitabili errori, gli scacchi, le sconfitte e i tentativi andati fuori segno… che porteranno i docenti, durante gli anni, ad acquisire quella sana capacità che permetterà di affrontare giorno per giorno la difficile “missione” di guidare il cammino culturale di un soggetto-alunno e di una classe di discenti. Anche per il docente vale il vecchio adagio, sbagliando si impara, o meglio ancora: il prof impara insegnando.
Altro discorso completamente diverso riguarda la valutazione sugli obiettivi raggiunti e la registrazione oggettiva dei risultati raggiunti in itinere dallo studente (termine che etimologicamente significa “amante di fare qualcosa”).
Fiumi di inchiostro e di parole si sono sprecati e si sprecano sul tema della valutazione. Eppure rimane l’aspetto più misterioso e pieno di incognite date le variabili a-teoretiche e spesso a-prioristiche che si antepongono tra la verifica/interrogazione e il voto numerico. Valutare ha a che fare con il latino “valère”, dare un prezzo e fare una stima…
Simpatie ed antipatie, stati e situazioni personali e familiari condizioni fisiche, temporali ed esistenziali (del docente che valuta) la fanno spesso da padroni e minano l’oggettività del giudizio di merito. In questa operazione di alta professionalità il docente (e poi il consiglio di classe in sede di scrutinio) non è altro che un giudice con pieni poteri di magistratura.
Il giudizio espresso in voti è equiparabile ad una sentenza di tribunale, per cui ci si chiede sempre: “E’ stato un giudizio imparziale, coerente, secondo i meriti e/o i demeriti dell’alunno valutato e giudicato?”. Ai posteri…
Valutare è un atto più complesso e pieno di responsabilità rispetto al fare una lezione frontale sul programma. Non occorre ricordare tutte le volte che la scuola ha dato una pessima valutazione a geni della scienza, dell’arte, del saper; e quante altre volte gli alunni – super blasonati nei tabelloni scolastici e nelle pagelle – hanno poi “toppato” oltre i tempi della scuola.
L’Invalsi è l’ente meno adatto a valutare dall’esterno il processo formativo disciplinare della scuola italiana. Lasciamo alla TV, e ai format vari, sia i quiz vero/falso che le risposte multiple da giocare ai dadi; releghiamo ai momenti di relax (sotto gli ombrelloni al mare o in montagna) i problemini più o meno logici da settimana enigmistica.
Perché non possono funzionare per la valutazione né da parte dei docenti né tantomeno di qualsiasi Invalsi.
Fare il docente non si può ridurre a somministrare – una volta l’anno – l’inutile prova esterna Invalsi al proprio manipolo di discepoli, che sono sempre e solo persone e non un codice a barre su fascicoli diversamente colorati di Italiano e Matematica con domande identiche per tutti i tipi di indirizzo scolastico. No le prove Invalsi proprio No.
C’era una volta un docente che a fine anno scolastico, dopo avere firmato e consegnato i voti per lo scrutinio, invitava tutti gli alunni a dare la valutazione sulla materia a tutti i compagni della classe, ed anche a se stessi. E era ben felice se il voto-giudizio corrispondeva al suo. Dispiacendosi del contrario. E’ ben vero che gli stessi studenti sono i migliori ad esprimere una valutazione oggettiva.
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