Regione che vai, stipendio che trovi. È quello su cui sta ragionando la maggioranza di Governo: adeguare le retribuzioni dei dipendenti al luogo in cui vivono, in particolare al costo della vita. Guai a chiamarle “gabbie salariali”, ma di fatto questo si vorrebbe realizzare. L’idea leghista sta prendendo piede in tutti i partiti che sostengono il Governo Meloni, quindi anche in Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Nell’ultima giornata, la maggioranza ha fatto dei passi in avanti: un ordine del giorno di Andrea Giaccone (Lega), passato alla Camera col parere favorevole del governo, ha azzerato il salario minimo e fatto passare il concetto che “lo stipendio unico nazionale può comportare disuguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo”.
Inoltre, il 28 novembre un disegno di legge, con i medesimi obiettivi, è stato assegnato in Commissione Lavoro di Palazzo Madama.
In quest’ultimo testo, il ddl firmato dal capogruppo della Lega Massimiliano Romeo e appena assegnato in Commissione, c’è scritto che “per sostenere il potere d’acquisto dei dipendenti pubblici e privati attraverso la previsione di trattamenti economici accessori collegati al costo della vita dei beni essenziali, così come definito dagli indici ISTAT, nelle aree territoriali presso cui si svolge l’ attività lavorativa, con particolare riferimento alla distinzione tra aree metropolitane urbane, suburbane, interne e di confine”.
Ma le applicazioni pratiche di tutto questo cosa comporteranno? A detta dei partiti promotori solo vantaggi. Inoltre, si legge ancora nell’odg, “sarebbe auspicabile per alcuni settori, come nel mondo della scuola, un’evoluzione della contrattazione che, da una retribuzione uguale per tutti, passi a garantire un pari potere d’acquisto per tutti, ipotizzando una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività“.
Quindi, cambiando regione il docente o Ata si ritroverebbe con stipendi diversi: a Milano, a Torino, a Venezia o a Genova, ad esempio, la busta paga di un dipendente della scuola assumerebbe una consistenza decisamente maggiore rispetto a quella data a fine mese a dei colleghi che prestano servizio in provincia, soprattutto se collocata nel Sud Italia.
A sentire il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, però, i tempi sono maturi per “trovare nuove strade, anche sperimentali, di sinergia tra il sistema produttivo, la società civile e la scuola, per finanziare l’istruzione, oltre allo sforzo del governo”.
Valditara aveva anche detto che “senza alcuna differenza fra nord, centro e sud, dalle regioni arriva una richiesta di capire come fare per affrontare il tema del costo della vita”.
Intanto, il Pd accusa la maggioranza di “voler dividere il Paese”. Perché, dice Irene Manzi, responsabile scuola nazionale dei dem, “con un blitz notturno la Lega prova a introdurre l’idea di stipendi diversificati per i professori su base regionale. Invece di impegnarsi per aumentare concretamente le retribuzioni di tutti gli insegnanti, la maggioranza decide che gli stipendi dovranno essere più alti al Nord senza tener conto degli sforzi che quotidianamente affrontano i docenti in aree del Paese difficili e disagiate. Proposte come queste vanno nella stessa direzione del progetto di autonomia differenziata”.
Secondo Manzi, “vogliono una scuola che allarghi divari e disuguaglianze invece di ridurli. Questo è il progetto spacca Italia della Lega e della maggioranza che governa il paese. La battaglia per un aumento degli stipendi dei docenti in linea con i livelli europei deve riguardare tutti ed è quello su cui vorremmo poter conoscere le proposte del Ministro Valditara. Questo è attacco al principio di coesione nazionale”.
Dello stesso parere i rappresentanti del Movimento 5 Stelle in Commissione istruzione alla Camera: “Se davvero Giorgia Meloni seguirà la Lega in questa follia – avvertono i ‘grillini’ – ci troverà dentro e fuori il Parlamento a difesa della dignità dei docenti italiani e dell’unità del sistema scolastico nazionale. La scuola ha bisogno non di stipendi differenziati ma di stipendi più alti per tutti i prof, per portare l’Italia almeno al livello degli altri stati europei”.
Solo che, proseguono sempre dal M5s, “con un blitz la Lega ha messo per l’ennesima volta nero su bianco che auspica l’introduzione delle gabbie salariali e che dunque gli insegnanti del Centro Sud secondo loro valgono meno di quelli del Nord e devono ricevere stipendi più bassi. Il governo ha dato l’ok. Lega e Meloni rifilano così l’ennesimo schiaffo alla scuola pubblica e al Sud, dopo il ridimensionamento della rete scolastica e le autonomie”.
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