Vediamo cosa dice la Treccani sulla parola “ministra”: s. f. [dal lat. ministra, femm. di minister: v. ministro].
Forma un tempo scherzosa, e che oggi indica la donna che ricopre la carica di ministro, che è cioè titolare di un dicastero (ufficialmente, però, detta ministro).
Che significa: “ufficialmente però detta ministro”, non è dato sapere, anche perché se c’è una “ufficialità” ci sarà pura una “ufficiosità”. E allora nelle sedute ufficiali, nei discorsi ufficiali e pure nelle dichiarazioni di stampa ufficiali, tutti dobbiamo dire: il ministro Carrozza, ma ufficiosamente, quando cioè incontriamo per caso (se ci sarà) la prof Carrozza o ne parliamo accidentalmente o nel chiuso di una riunione fra intimi, possiamo dire: “cara ministra Carrozza”.
Non ci convince.
Un barlume di chiarezza arriva da un post datato: “Pur essendo senza preconcetti, devo ammettere che è prassi in politica chiamare le Ministre Ministro al pari dei colleghi maschi, al contrario di quanto si scrive e si dice nelle cronache, dove i Ministri donna appaiono finalmente come Ministre”.
L’equivoco nascerebbe dunque in Parlamento, e fra colleghi, dove la lingua, si sa, subisce forzature strane e dove le parole riscono pure ad avere un “non senso” e un significato arcano; parole che, in quanto tali, al momento opportuno in politica e nella fraseologia politica subiscono persino il mutamento di contenuto, così come suggeriva Charles Maurice de Talleyrand-Périgord alla sua cameriera quando doveva regolarsi sul desinare da approntargli.
Ma allora “Il Ministro” o “la Ministra”?
Secondo il linguista di professione sarebbero tre le possibilità: “il Ministro, la Ministra, la Ministro. Personalmente preferisco quest’ultima, perché consente di mantenere l’accordo al femminile conservando la carica (La Ministro… si è recata…); si aggira così l’ostacolo di una “femminilizzazione” della professione che fa storcere il naso anche a molte donne. Se si segue questa strada si dovrà naturalmente scrivere un’architetto, perché quell’un starà per una”.
“Il modello maschile (“il Ministro”) è da accantonare se riferito a una donna; ne perpetua, infatti, il tanto deprecato, plurisecolare “occultamento linguistico”. Il diretto concorrente (“la Ministra”) può prestare invece il fianco, in determinate occasioni, a facili ironie: forse non sarà proprio il caso di architetta o Ministra, che sono abbastanza diffusi e sufficientemente accettati, ma potrebbe ben essere quello di assessora, questora, sindaca…” ma si dirà pure, dice il linguista: “la soprano e la contralto, senza che la regola patisca eccezioni, ma anche la sindaco e la questore, oppure una magistrato e una chirurgo.”
E tutto questo arzigogolare di articoli e sostantivi di genere solo per risolvere, senza farsi criticare, l’impasse machiavellico di fronte ai casi nei quali la femminilizzazione non è ancora stata pienamente accolta nell’uso della nostra lingua Italiana e pure nella nostra partigiana e faziosa Italia.
Eppure, proprio qualche giorno fa, la Cisl scuola, dando conto del suo congresso nazionale, racconta dell’intervento del presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Francesco Sabatini, al quale è stato chiesto da qualcuno del pubblico il modo più corretto con cui si dovrà chiamata, la prof. Maria Chiara Carrozza: ministra?o ministro? E il prof Sabatini ha risposto: “ministra! e senza alcun dubbio!”
Per quanto ci riguarda, e in omaggio non solo alla lingua italiana, che ha il termine, ma anche al rispetto di genere e di professione, per noi la prof Carrozza sarà “la ministra Carrozza”, così come tutte le altre donne (sost. femm. plu.) che ricoprono cariche storicamente appartenute solamente al maschile.
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