Si parla ancora di educazione sessuale a scuola, ma stavolta in relazione ad un caso reale che è approdato in tribunale. Come riporta Open, una maestra supplente di una scuola primaria di Cesena è stata licenziata per aver parlato di sessualità e procreazione in classe dopo che due alunni avevano litigato pesantemente arrivando a utilizzare parole forti di “natura sessuale o corporale”.
In quell’occasione, la docente è intervenuta prima fermando il conflitto, poi utilizzando quest’ultimo come spunto per discutere di sessualità con i bambini. Da un giorno all’altro, si è ritrovata un licenziamento per giusta causa con cancellazione dalle graduatorie, intimato dal Ministero dell’Istruzione.
Una decisione inaccettabile, secondo la docente, che ha deciso di passare per vie legali rivolgendosi al tribunale di Forlì. Tuttavia, il ricorso è stato respinto dai magistrati. La maestra ha quindi impugnato la sentenza prima presso la Corte d’Appello, la quale ha anch’essa rigettato il ricorso, e infine presso la Corte di Cassazione.
La maestra ha tentato di difendersi con diverse argomentazioni nel suo ricorso, sostenendo di non essere stata informata in modo adeguato sugli atti alla base della contestazione disciplinare e mettendo in dubbio la validità delle prove, che includevano dichiarazioni dei bambini coinvolti. Inoltre, ha negato di aver utilizzato un linguaggio volgare o crudo con i piccoli, raccontando di aver disegnato e mostrato le immagini solo di un ovulo, uno spermatozoo e uno zigote, e non di organi genitali come peni o vagine.
Niente da fare per la docente: nonostante le giustificazioni, la Corte di Cassazione ha confermato la correttezza delle sentenze precedenti. Secondo i giudici, le prove presentate – ovvero il verbale del colloquio tra la preside e la rappresentante dei genitori, il verbale dell’incontro tra la dirigente e una collega della maestra coinvolta, il verbale del colloquio tra la preside e la supplente – erano sufficienti per considerare il comportamento della maestra del tutto “inappropriato”, anche dopo aver preso in considerazione l’ipotesi che gli alunni potessero aver “ingigantito” quanto accaduto.
Il motivo? La docente, scrivono i giudici nella sentenza, “ha affrontato in classe argomenti legati alla sessualità e alla procreazione senza alcuna pianificazione o coordinamento con le altre colleghe e in un contesto inadatto, ovvero subito dopo una lite tra due bambini. Il tutto con l’effetto di provocare grave turbamento e disagio negli alunni, come riscontrato sia dai genitori all’uscita da scuola, sia da un’altra insegnante, chiamata dagli stessi bambini poco dopo l’accaduto”. Da qui la decisione della Cassazione di dichiarare “inammissibile” il ricorso della docente e a condannarla a pagare 4mila euro di spese legali. Pertanto, l’insegnante di Cesena è stata licenziata.
A scuola si parla poco di sessualità? Ecco la risposta di Rocco Siffredi, intervenuto “La fisica dell’amore“: “Prima della scuola ne dovrebbero parlare i genitori. I primi insegnanti sono i genitori. Il problema è che capisco le difficoltà dei genitori cresciuti con la vergogna. Il problema che c’è in Italia che riguarda i genitori ma anche gli insegnanti è la vergogna”.
“Se non si riesce a parlare tranquillamente di sessualità con i figli, come si fa? Si rischia che il messaggio arrivi distorto. Noi attori porno siamo diventati educatori sessuali senza volerlo. Si tratta di ragazzini, è un disastro da un punto di vista psicologico. La sessualità non dovrebbe essere circondata da critiche o giudizi. Oggi bisogna insegnare più ai genitori”.
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