Il tema di gran moda quest’anno è quella della IA. Come se non esistesse già prima. Naturalmente quando c’è un tema alla moda (o un problema purtroppo…) lo si vuole subito associare o meglio iniettare nella scuola.
Vorrei chiarire che il mio modo di ragionare da sempre è che di fronte a cose nuove e complesse “non è il caso di dividersi (pro vs contro) ma di conoscere di più per capire meglio”. Le osservazioni che farò spero servano a questo e derivano dalla mia esperienza di docente che si portava negli anni 80 i “computer” (allora ZX 81 o Vic 20 solo poi Spectrum o C 64) da casa e li attaccava alla TV. Che per 25 ha fatto l’”animatore digitale”, organizzato laboratori e ambienti di apprendimento “digitali”. Domandandosi quali competenze di docenti e allievi venivano messe in gioco. Come fare e perché. E che conseguenze avrebbero avuto su di noi come persone e cittadini.
Poi come formatore dal 1982 (dal PSTD a Scuola 4.0) ha seguito tutte le costose iniezioni di tecnologie che la scuola ha subito – non richiesto – come mercato di riserva delle tecnologie da ufficio, non progettate secondo le sue esigenze. Una per Ministro, nella colpevole illusione che le tecnologie potessero risolvere i problemi della scuola e sostituire una riforma della stessa. Innovazione al posto di progetto. Tecnologie al posto di idee. Iniezioni mai monitorate, spese mai verificate dal ministero, come ha raccontato Gui e come posso testimoniare. Cercando, come formatore, di mediare tra le paure delle tecnologie prima e poi tra il saper usare e sapere come e perché funziona così verso la necessità di formare competenze di cittadinanza e cultura digitale.
Il web nel frattempo è molto cambiato (“Non riconosco più la mia creatura”, dice T.B. Lee).
Gli studi OCSE 2014, 15 e studi seguenti hanno rilevato che “Le tecnologie di per sé non modificano la qualità dell’insegnamento/apprendimento”. I “buoni docenti si. L’ideale sarebbe dare “buone” tecnologie” in mano “buoni” docenti, che non solo le usino, ma che si domandino “come funziona e perché funziona in questo modo e che conseguenze ha su di noi”. Come richiesto anche dal Sillabo del MI nel 2018, in cui si scriveva: la situazione attuale del web è complessa, i ragazzi devono sapere cosa succede sulla loro pelle in rete, perché cambiare è ancora possibile. È anche l’anno in cui sono state ridefinite le competenze chiave livello europeo introducendo le competenze digitali, collegate alle competenze di cittadinanza in Italia che con le prime si identificano: perché tutte le competenze chiave sono competenze di cittadinanza e viceversa (come ci spiega Bruno Losito).
Questo mi interessa visto che dobbiamo formare le persone ed i cittadini e orientarli nel mondo.
Per essere più chiaro ce l’ho coi padroni della rete (Rampini), col capitalismo degli oligopoli digitali che ci sfruttano e riducono i nostri diritti (Schiavi del clic, Casilli) e con quegli insegnanti che, per moda o per stanchezza, si concentrano sull’insegnare ad usare e non sull’insegnare riflettere. Può essere utile leggere un articolo di Marco Guastavigna che condivido in pieno.
Un esempio: la sciagurata scelta delle piattaforme per la DaD, in prevalenza Google (Zoom, Class room e simili) da cui però siamo ancora, dopo quattro pronunciamenti duri dell’allora Garante della privacy Soro, dipendenti.
Il compito della scuola non è quello di insegnare a usare solo, ma di insegnare a conoscere e smontare il giocattolo web per una cultura e cittadinanza digitale. Se chiudo mia figlia in garage a giocare coi comandi non è che impara a guidare. (Attivissimo, A. O. Ferraris)
La legge 92/19 definisce in modo simile gli obiettivi della Ed. Civica: alla fine il ragazzo deve raggiungere obiettivi legati alla cittadinanza, in genere, non all’uso (cfr. art 5.2.)
«Usare il digitale andrebbe insegnato nella scuola sin da piccoli e non parlo di come funziona uno smartphone ma dei sistemi sociali, politici, economici che sono alle spalle» (Soro, ex Garante privacy).
L’EC ci ha insegnato che viviamo in contemporanea in 3 ambienti: Sociale, Naturale, Digitale intrecciati tra di loro. Il nostro mondo.
Se ne parla perché c’è. Vero, ma c’era in varie forme già prima. Allora come parlarne e perché? Molti ricordano i primi test di Turing, qualcuno ricorderà il chatterbot Eliza (1966) che dialogava come uno psicoanalista, rispondendo ad una domanda con una domanda che catturava una nostra frase chiave.
Ricordo i sistemi esperti in medicina, quando insegnavo pedagogia, psicologia e un po’ di informatica agli Infermieri professionali dei corsi parauniversitari della Regione Piemonte. I sistemi esperti riproducevano, seguendo un diagramma di flusso, il comportamento di un medico umano: 1- Sintomi, 2- anamnesi, 3- ipotesi probabilistica della malattia da diagnosticare, 4- Nuovi accertamenti e dati da immagazzinare, 5. Ipotesi di diagnosi e 6- proposta di cura. Oggi la potenza di incorporare dati ed elaborarli è molto maggiore, ma continuo a pensare che sarebbero un ottimo assistente per gli amici medici, cui però dovrebbe spettare l’ultima parola, perché sono quelli che possono pensare: tutto porterebbe a…ma in base alla mia esperienza e conoscenza del paziente ho la sensazione che…
IA è già tra noi: a partire dagli algoritmi di google e dei social di cui però non siamo né consapevoli né padroni se mai vittime o consum-attori.
Ma perché tutti parlano di Ai? Perché è un’eccezionale operazione di marketing, una delle meglio organizzate degli ultimi anni. Su questa, le imprese della Silicon Valley si stanno giocando il tutto per tutto, per invertire il trend negativo fatto di tagli al personale e cambi drastici dei loro programmi di sviluppo. Intelligenza inesistente, Borroni Barale. Wired parla di “corsa all’oro”.
Quale intelligenza?
Quante definizioni di intelligenza e quante di IA? In un saggio del 2007 Legg e Hutter elencarono 53 definizioni di intelligenza umana e 18 di Intelligenza Artificiale (Floridi).
Cosa vuol dire intelligenza? Io mi tengo strette le idee di Gardner, sulla pluralità delle intelligenze e quella di Goleman sul rapporto tra intelligenza ed emozione. In base alla mia esperienza, intelligenza, apprendimento e contesto relazionale ed emotivo, clima di classe sono fortemente collegate. Si apprende (e si cambia) soprattutto in un gruppo, con esperienze emotive comuni e significative.
Mi sembra che la situazione sia piuttosto complessa e la semplicità non esiste se non come prodotto della riflessione sulla complessità. Vogliamo approfondire insieme?
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