L’uso delle intercettazioni a scuola per indagare su eventuali misfatti avvenuti tra le mura scolastiche è ormai sdoganato. Ma si tratta davvero del modo giusto per analizzare una realtà complessa come quella scolastica? O c’è il rischio di manipolazione o di errata interpretazione delle immagini?
Lo studioso Vittorio Lodolo D’Oria, medico ed esperto di burnout nella scuola, ha riflettuto sul tema in un articolo pubblicato su Lab Parlamento. Per farlo ha preso in esame il caso di una maestra di Corleone accusata di maltrattamenti agli alunni che è stata assolta in appello, dopo cinque anni di processo e dopo essere stata intercettata per due mesi, “perché il fatto non sussiste”.
Secondo l’esperto si sarebbe dovuto agire in modo diverso: “Quanto accaduto a scuola, inoltre, poteva tranquillamente essere risolto dal dirigente scolastico attraverso i molteplici strumenti a sua disposizione (controllo della maestra, vigilanza, affiancamento, accertamento medico, ispezione, provvedimento disciplinare, sospensione cautelare)”, ha scritto.
Lodolo D’Oria ha anche sottolineato quanto sia problematica in questi casi la “mancanza di know-how pedagogico-educativo degli inquirenti che sono dei non-addetti-ai-lavori del tutto ignari degli metodi correttivi, leciti e non, a disposizione di docenti, maestre ed educatori”.
Il medico ha fatto notare che sembra esserci una correlazione positiva tra l’uso delle intercettazioni e il numero di casi di violenza a scuola che sono stati registrati: “Si tratterà di una mera combinazione, ma le intercettazioni in ambito scolastico si sono moltiplicate a dismisura, fino a far registrare un incremento dei casi di ben 14 volte nell’arco di sei anni (2014-2019). Non sarà piuttosto che detta situazione è causata da metodi d’indagine che sono totalmente inadatti alla scuola? Le intercettazioni, infatti, si prestano a manipolazioni e fraintendimenti soprattutto nell’ambiente scolastico”.
Secondo l’esperto il rischio di manipolazione, anche non volontaria, è concreto: “Le intercettazioni consentono agli inquirenti di assemblare ‘pezzi di realtà’, a proprio uso e consumo e in ossequio alla tesi di colpevolezza da dimostrare. Anziché ricostruire la verità, si finirà per ‘fare a pezzi la realtà’. E che questo risultato appaia più che probabile lo lascia presagire il fatto che i giudici non visionano mai per intero tutte le centinaia di ore di intercettazioni (sarebbe follia il solo pensarlo), ma si limiteranno a guardare pochi frammenti di filmato, appositamente selezionati dagli inquirenti, finendo col non possedere l’esatta idea di una realtà complessa quale quella scolastica che è squisitamente professionale perché pedagogico-educativa”.
C’è di più: secondo Lodolo D’Oria si tratta di metodi che non permettono di arrivare ad un risultato in tempi rapidi: “Non possiamo dimenticare di aggiungere l’intempestività di questi metodi. Trascorrono infatti lunghi mesi tra una denuncia all’Autorità Giudiziaria e l’azione per bloccare una presunta maestra violenta. Al contrario è immediato, ponderato e professionalmente idoneo l’intervento di un dirigente scolastico adeguatamente allertato”.
“Ben venga, dunque, l’idea dell’attuale guardasigilli Nordio che, supportato dal titolare dell’Istruzione e del Merito Valditara, pensa di limitare il ricorso alle intercettazioni: queste, fondamentali in determinati settori (mafia, criminalità, traffico di droga…), rischiano di essere controproducenti, nella scuola. In questo ambito, infatti, esistono e sono praticabili soluzioni più tempestive, nonché economiche, purché il dirigente scolastico non venga cortocircuitato, come avviene nei Paesi occidentali”, ha concluso Lodolo D’Oria.
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