Si rinnovano le partenze dei 1.600 studenti delle scuole superiori che attraverso un programma dell’associazione Intercultura trascorreranno il prossimo anno scolastico in un altro Paese. Si tratta di studenti della terza e quarta superiore, in partenza tra luglio e inizio settembre in uno dei 60 Paesi in cui l’Associazione opera dal 1955: nelle ultime ore hanno preso il volo 11 ragazzi che studieranno per un anno scolastico in Malesia, 53 in Thailandia e 17 in India.
Il programma dà seguito alle numerose raccomandazioni dell’Ue (come quella del 18 dicembre 2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE) in fatto di competenze internazionali: andare all’estero attorno ai 16-18 anni, infatti, che siano le 4 settimane del programma estivo o l’intero anno scolastico, permette di sviluppare particolari capacità linguistiche, tecnico-professionali, logiche, relazionali, comunicative attraverso l’immersione in una cultura diversa. Tra gli altri benefici che si registrano, ci sono anche un aumentato livello di autonomia, capacità di adattamento, di soluzione dei problemi, di dominare l’ansia.
“Non è un caso che sempre più studenti in partenza – spiegano da Intercultura – che negli ultimi anni hanno scelto Paesi molto lontani non solo geograficamente, ma culturalmente”. Ecco un po’ di numeri: dei 1.600 ragazzi in partenza (due terzi dei quali con una borsa di studio totale o parziale) l’11% ha scelto l’Asia (Cina, India, Malesia, Thailandia, Giappone, Hong Kong) e il 22% l’America Latina (dal Brasile all’Argentina, dal Messico al Paraguay, dal Venezuela al Costarica, dalla Colombia alla Repubblica Dominicana solo per citare alcune tra le destinazioni scelte), in percentuale maggiore rispetto al Nord America (dove studierà il prossimo anno scolastico, tra Canada e Usa, il 21% dei ragazzi). Il 38% si recherà invece in moltissimi Paesi dell’Europa: non solo Francia e Germania, ma anche nei Paesi scandinavi (Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca), quelli balcanici (Serbia, Slovenia, Bosnia Erzegovina, Croazia), quelli dell’est (dalla Russia alla Polonia, dalla Repubblica Ceca all’Ungheria), la Turchia e molti altri.
“Certo, si tratta di un fenomeno ancora di nicchia, anche – sottolinea l’associazione – a causa dell’assenza di una certezza circa l’attuazione di meccanismi di premio per l’esperienza fatta e la generale condivisione delle difficoltà incontrate dagli studenti al momento del loro rientro nel riallinearsi con i programmi svolti dai compagni. Infatti se l’esperienza all’estero comporta nel 39% dei casi un aumento dei crediti scolastici, solo nel 21% incide sul voto di maturità, mentre per il 30% non pesa direttamente in alcun modo”.
Intercultura ha anche notato che nel corso degli anni l’atteggiamento dei dirigenti scolastici e dei docenti verso questo genere di iniziative è sensibilmente migliorato: “l’82% dei presidi è favorevole – spiegano da Intercultura – e attribuisce un più che ottimo voto di valutazione a questi programmi (8,4 in una scala da 1 a 10), mentre il 65% dei docenti è favorevole e segna sul suo registro virtuale dedicato all’anno all’estero un importante voto pari ad 8,3. Il motivo: al rientro dal programma di studio e di vita all’estero il 59% dei docenti dichiara di ritrovare studenti con sviluppate capacità relazionali (tra gli insegnanti di lingue straniere questa percentuale sale all’80%), con una maggiore chiarezza sul proprio futuro negli studi e professionale (47%), con una maggiore attenzione ai problemi della società che ci circonda (43% in totale, percentuale che sale al 65% per i docenti di materie umanistiche)”.
Anche in chiave di valutazione delle competenze, a considerarle come un fattore determinante nel successo dell’esperienza di studio all’estero, sono soprattutto i docenti delle materie umanistiche e linguistiche: “ritengono – sottolinea l’associazione – quale risultato fondamentale del periodo trascorso a studiare e a vivere in un altro Paese, la crescita della persona e le competenze acquisite (79% e 74%), al contrario dei professori delle materie scientifiche che danno invece molta importanza ai programmi svolti (40%)”.