Ciascuno di noi, leggendo la Circolare n.3 del 13 febbraio 2015 avente per oggetto Adozione sperimentale dei nuovi modelli di certificazione delle competenze nelle scuole del primo ciclo d’istruzione, si è sicuramente lasciato andare in commenti personali oscillanti tra il doveroso senso di appartenenza all’amministrazione, che impone il massimo rispetto delle norme e del lavoro di molti professionisti , assieme ad alcune considerazioni più personali.
Molti docenti e dirigenti, sicuramente, avranno esclamato “ecco il famoso modello ministeriale” di cui si è tanto parlato. Gli albori del certificato, infatti, sono stati accompagnati dalla promessa di un modello di certificato a livello nazionale. Pur essendo convinti della bontà del decentramento, non si poteva non osservare che una certificazione dovesse necessariamente scaturire da un prototipo nazionale, per assicurarne la lettura in tutte le scuole del regno e, soprattutto, per essere coperti da una fondatezza epistemologica comune, oltre che da un spendibilità universale.
Le scuole non sono certo state ad aspettare, anzi si sono prodigate in sperimentazioni, in riflessioni , ricerche azioni in sede di singola istituzione scolastica e nelle reti di scuole, producendo, ad onor del vero, pensieri davvero fecondi che hanno fatto crescere e molto le persone che vi hanno contribuito.
Non dimentichiamoci, infatti, che l’introduzione della didattica, progettazione e, conseguentemente, valutazione per competenze, costituisce un passaggio tutt’altro che lineare e che la maggior parte dei docenti , dirigenti ha avuto necessità di percorrere nutriti percorsi di formazione e approfondimento per comprendere come spostare l’asse della didattica dall’insegnamento verso l’apprendimento.
Il certificato delle competenze ha sviluppato, dunque, un’ affascinante opportunità di riflessione bottom up e piace constatare che il modello licenziato dal Ministero sia il risultato apprezzabile di un lavoro di squadra cui abbiamo contribuito tutti noi.
Anche volendo illudersi che il percorso sia completamente portato a termine, il passaggio dai “programmi” (guai a nominarli) al curricolo verticale, dovrà veder passare ancora molta acqua sotto i ponti prima che l’insegnamento sia completamente per competenze e, soprattutto, l’apprendimento sia orientato a nuclei concettuali comuni in cui il discente non impara semplicemente, ma “impara ad imparare” e a “ fare con quel che ha imparato”.
La sfida della metacognizione risulta sempre più interessante e , a mio modesto avviso, il vero e principale senso della paideia. È uno dei significati più nutriti di una certificazione delle competenze, documento in cui si dovrebbe dar sviluppo a ciò che un alunno sa realmente fare al termine di un percorso di studi, per riconoscersi, per trovare gli esiti della propria autovalutazione, per accompagnarlo in una continuità verticale ed orizzontale.
Da qui dovrebbe partire l’esplicitazione di questo documento all’utenza, nel poter con molta franchezza affermare che il documento di valutazione enuclea una dimensione formativa della valutazione scolastica, ma che il certificato delle competenze è il documento fondamentale, quello dove si può tracciare il profilo in uscita dello studente, magari apportando un coordinamento dell’altrettanto delicata sfera del consiglio orientativo.
Per ottenere questo, però, dovremmo fare in modo che il certificato sia sempre meno documento burocratico e sempre più frutto di un processo sistemico endogeno all’istituto, dove si sviluppa una circolarità tra curricolo verticale-progettazione per dipartimenti-valutazione autentica-sviluppo di prove esperte.
L’incertezza e la lunga filiera di produzione di questo modello non hanno sicuramente reso semplice la sua introduzione, allorché i collegi docenti si siano trovati a modificare il modello nel mese di maggio di ciascun anno scolastico: non era poi così chiaro, come metodo, che il modello ufficiale sarebbe arrivato al completamento delle Indicazioni Nazionali, così come “suggerito” dalla norma.
Rimangono ancora molte perplessità sul passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di I grado, in quanto la generalizzazione degli istituti comprensivi e la parzialità di “traguardi” di competenze, forse avrebbero potuto far optare per un documento spendibile più in là nel tempo.
Mi sia permessa un’ ulteriore considerazione sul carattere sperimentale di questo modello. Questo processo non è forse stato ampiamente dibattuto? Non abbiamo, forse, già sperimentato un po’ troppi certificati?
Da dirigente attento e scrupoloso, ho seguito tutti i passaggi della norma e lo ho fatto ancor prima come docente che coordinava la commissione all’uopo istituita.
Non avrei molto coraggio di presentare un’ulteriore sperimentazione al collegio durante quest’anno scolastico, per poi passare nel corso dell’a.s. 2015/2016 all’adozione generalizzata e attendere il 2016/2017 per l’adozione obbligatoria, a ben sette anni di distanza dal DPR 122/2009, volendo puntare solo su questa norma coordinata piuttosto che su quelle precedenti.
I processi complessi e raffinati richiedono tempi dilatati, mi sia concesso di pensare che questi tempi siano un po’ troppo dilatati.
Ad onor del vero, quel che è avvenuto in questi anni, ha portato ad un significativo miglioramento in sede teorica dei contenuti di questo documento.
Basti pensare alla firma congiunta del Presidente della commissione d’esame con la firma del Dirigente scolastico per la scuola secondaria di I grado e all’attribuzione dei voti numerici alle competenze, su cui sono stati scritti fiumi di parole, fortunatamente non a vuoto.
Nella fase di sperimentazione, speriamo si arrivi anche ad un alleggerimento della declinazione delle discipline interessate, pur capendo, però, che le discipline sono un punto di riferimento ancora molto forte per il nostro paradigma scolastico: sarà scardinato dalla Buona Scuola?
Continuando nella lettura, ho apprezzato vivamente il documento in accompagnamento “linee guida per la certificazione delle competenze nel Primo Ciclo d’istruzione”.
Molti di noi avranno ritrovato contenuti pedagogici chiari e riconoscibili, il richiamo ad alcuni riferimenti legati allo scenario in cui avviene l’apprendimento e a quel documento così prezioso di moriniana ispirazione parafrasato nel paragrafo “Cultura, scuola persona”.
Emerge una visione dinamica dell’apprendimento, che poggia su principi internazionali quali l’apprendimento permanente, l’integrazione di apprendimenti formali-non formali-informali, la promozione della competenze nella società dell’informazione e della comunicazione, la dimensione sovranazionale delle certificazioni.
Questo scenario ha richiamato alla memoria un interessante studio dell’Università Cà Foscari di Venezia con il Centro Interateneo per la Ricerca Didattica e la Formazione Avanzata, avente per titolo “Promuovere le competenze-Linee guida per valutare con Talent Radar”, un dono di alcuni anni orsono che può risultare una lettura interessante.
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