“Non ridurrei la questione a un semplice problema di età e dì tempi. Ovviamente ci sono molti motivi, sia di confronto internazionale sia di qualità dell’istruzione, che ci spingono a portare da 13 a 12 anni la permanenza nella scuola, ma è inutile sperimentare senza rivedere in toto il problema della formazione complessiva. Negli anni 80, ci fu un largo dibattito sulla scuola e con il sottosegretario Brocca venne realizzato uno studio molto serio per la revisione del nostro sistema didattico. Poi i governi successivi cancellarono tutto”.
Tuttavia, su una cosa il prof De Mauro è certo: “Non taglierei assolutamente il ciclo di base. Sarebbe un grave errore perché per colmare i nostri deficit dobbiamo lavorare molto negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Inoltre i nostri studenti in questa fase riportano i migliori risultati nel confronto internazionale. Quindi se vogliamo uscire a 18 anni, meglio dare una sforbiciata alle superiori. Dovremmo poi chiarirci anche sul concetto del “tagliare”: i tagli realizzati in maniera lineare non sono mai serviti a molto. Ecco che perché ribadisco che alla base di un’operazione come questa ci dovrebbe essere un ripensamento generale dei programmi e dell’assetto della scuola superiore. Ovviamente ritocchi seri, non come quelli apportati dal ministro Gelmini che non hanno cambiato minimamente la funzione dell’Istruzione pubblica”.
Allo stesso modo se si parla di sperimentazioni che devono però prevedere per esempio “un piano straordinario di formazione degli insegnanti di inglese. Ma siamo molto lontani da tale obiettivo. Stesso discorso per la tecnologia: puntiamo ad un rafforzamento della materia e poi casomai non abbiamo professori adeguati ad insegnarla”. In ogni caso, conclude De Mauro, l’uscita a 18 anni è un “obiettivo giusto, anche perché aiuterebbe anche i nostri laureati e dottorati ad anticipare e terminare prima l’università”.
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