Attualità

Investimenti sull’istruzione, Italia (tristemente) ultima in Europa

I dati Eurostat, ancora una volta, parlano chiaro e confermano l’ultima posizione (31 su 31 paesi presi in esame) del Belpaese in termini di spesa pubblica ed investimenti efficaci relativi al comparto dell’istruzione, dell’università e della ricerca. L’Italia va a destinare, sommariamente, tra il 7,9 % e l’8 % della spesa nazionale all’istruzione ed alla formazione primaria, secondaria ed accademica. La media degli altri paesi europei si trova attorno al 10,0 %: la Germania investe il 9,6 %, la Grecia l’8,3 % e la Repubblica Ceca l’11,8 %, sempre stando ai dati pubblicati dall’annuale rapporto dell’Eurostat, che prende in esame, in rapporto alla spesa pubblica nazionale per tutti i comparti strategici, l’istruzione e la ricerca. Limitatissime le risorse dedicate a tale settore, fondamentale per i cittadini, i lavoratori e gli studiosi del futuro: la scarsità delle borse di studio offerte a livello pubblico, la decadenza strutturale degli edifici ed i programmi anacronistici poco attenti e concentrati sul presente sono gli elementi su cui investire maggior denaro e dibattito pubblico. 

I dati del rapporto annuale: male anche per altri indici di spesa

Provvedendo, attraverso l’intuitivo menù offerto dal portale Eurostat, è possibile comprendere che lo Stivale risulta ultimo in classifica – o talvolta penultimo – nelle voci di spesa relative alla formazione primaria (2,9 %) e quella universitaria (0,6 %), Per la scuola primaria, la media europea si assesta attorno al 3,4 %, mentre per la formazione universitaria, che include la ricerca, il Belgio, nonostante i suoi 17 milioni di abitanti, spende più del doppio dell’Italia, nonostante conti meno studenti, meno atenei, meno strutture e docenti universitari. Il Regno Unito e La Germania spendono rispettivamente, in media, quasi il triplo per la formazione superiore: 1,5 e 1,7 %. L’Italia non si trova solo a spendere poco ma anche male, secondo il dossier: in genere i fondi sono destinati ad atenei o istituti già avvantaggiati in passato, sulla base delle politiche del FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario). Quest’ultimo spende mediamente 4 miliardi sui 7,78 disponibili per finanziare gli atenei sulla base del numero di studenti, docenti e personale. I restanti 3,78 miliardi sono destinati a quelle università che ottengono risultati in ricerca ed innovazione: un’errata distribuzione che va ad esacerbare le annose disuguaglianze presenti sul territorio, quasi mercificando risultati, qualità e statistiche per un settore altamente strategico, dove le questioni di mercato non possono – e non debbono – entrare. 

Il PNRR non basta a recuperare i sottofinanziamenti all’istruzione, all’università ed alla ricerca

Nonostante l’approvazione da parte dell’esecutivo Draghi di un piano strategico di ripresa economica, destinato ai settori strategici sfiancarti dalla crisi pandemica tramutatasi in economica e sociale, i fondi destinati all’istruzione risultano insufficienti per colmare le oggettive disuguaglianze tra Nord e Sud, nonché il ritardo strutturale ed organizzativo del settore. Il PNRR destina circa 30,88 miliardi di euro al settore al comparto suddetto, di cui 19,44 al potenziamento dell’offerta didattica generale, che va dagli asili nido alle università. Questi finanziamenti coprono un periodo che va dal 2021 al 2023 e, pertanto, devono essere distribuiti e spalmati nel corso di 3 anni, per poco più di 6 miliardi annui. La spesa totale, in questo caso, sarebbe portata a 76 miliardi di euro, ancora troppo bassa rispetto alla media d’investimento delle altre realtà europee. Nonostante la buona direzione intrapresa dal Piano, che va a cogliere gli aspetti più critici ed obsoleti del sistema (borse di studio ed alloggi per studenti), sono ancora molte le problematiche del mondo dell’istruzione, dell’università e della ricerca derivanti dal mal-finanziamento e dal disinteresse politico riservatogli dagli esecutivi del passato e, forse, anche del presente.

I dati Eurostat appena citati sono reperibili al link: https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/GOV_10A_EXP__custom_1618171/default/map?lang=en

Andrea Maggi

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