Io, aspirante docente, alle prese col Concorso, indignata professionalmente

Sono una docente di lettere di Palermo scrivo per mostrare la mia indignazione a poche ore dalla prova di concorso svolta lunedì 2 maggio. Sono abilitata PAS e insegno dal 2001.

Volevo dare voce ai disagi che ho vissuto, assieme ad altri colleghi, abbiamo dovuto spostarci a Catania da Palermo con famiglie e bimbi piccolissimi al seguito, affrontare spese per alloggiare lì e in molti casi le scuole dove abbiamo svolto la prova si trovavano in zone periferiche non facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici; sapendo che a Palermo in molte scuole c’erano numerosi laboratori di informatica liberi.

Non comprendo perché non ci hanno distribuiti in base alla provenienza. Inoltre il giorno della prova i vigilanti, come ispettori, hanno controllato attentamente i dizionari di lingua, ridicolo come atteggiamento da colleghi verso colleghi, ho contestato dicendo che vista la professionalità, nostra nessuno si sarebbe messo a scrivere sui dizionari, siamo gente adulta.

Durante la prova uno dei componenti la vigilanza parlava al cellulare con il vivavoce e molti colleghi hanno chiesto la cortesia di spegnere considerata la circostanza, la tensione e il tempo tiranno che ci hanno concesso. Sono personalmente indignata e mi sento anche offesa professionalmente. Tutto ciò ha contribuito a far crescere la contestazione verso questo concorso. Siamo stati mortificati a partire dalla domanda che contemplava l’inserimento di servizio solo per gli anni in cui si sono svolti 180 giorni continuativi. Molti di noi con alle spalle anche più di dieci anni di servizio svolto da supplenti, abbiamo potuto dichiararne pochi, rispetto a quelli svolti.

Le prove concorsuali le abbiamo svolte grossolanamente a causa del tempo irrisorio di 150 minuti . Quando elaboriamo le nostre progettazioni le elaboriamo con molta serenità dedicando tutto il tempo necessario, facendo il lavoro a casa e sottraendolo alla nostra vita privata, ma animati dalla dedizione e consapevolezza che il tempo è speso per formare i nostri ragazzi, ai quali spesso non è stata garantita la continuità didattica. Ci siamo abilitati frequentando all’università mentre al mattino si lavorava a scuole, si preparavano esami di maturità e di licenza media, affrontando enormi difficoltà e sacrifici, abbiamo studiato la notte. Siamo stati sfruttati, abbiamo retto per anni la scuola pubblica.

Tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno sempre provveduto a riformare la scuola e il destino di tutti noi docenti, che dopo avere conquistato un meta, siamo stati bloccati nel proseguire la nostra carriera. Abbiamo comunque lavorato e dedicato ai ragazzi che ogni anno abbiamo avuto affidati, come supplenti, tutta la passione e la dedizione per la nostra professione.

Da ultimo la “buon scuola” che ha dato alla scuola numeri, ha assunto persone in GAE mai entrate in classe e che quest’anno, impreparati, senza alcuna esperienza, lasciando posti a tempo indeterminato nella pubblica amministrazione, si sono trovati ad affrontare classi, hanno chiesto aiuto ai colleghi di ruoli che spesso, così come i dirigenti, hanno lamentato la loro impreparazione e talvolta mancanza di partecipazione alle attività scolastiche.

Mi chiedo, non era forse il caso di fare un censimento, verificare le posizioni di queste persone, formarle prima e poi farle entrare in classe? Gente fortunata, solo così mi sento di dire perché non a tutti capitano i momenti propizi.

E noi precari storici ora sottoposti al concorso che, con il timer del tempo che scorreva inesorabile, non abbiamo potuto rileggere le nostre risposte, correggere eventuali errori di digitazione, avere qualche minuto in più per riflettere.

Però si continua a propagandare una riforma di soli numeri, ma la scuola è fatta da persone che devono formare altre persone, non da numeri. La scuola ha bisogno di gente preparata professionalmente e umanamente.

I lettori ci scrivono

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