Io, dirigente scolastico, e la riforma Renzi

Bisogna dare atto al governo Renzi che con il disegno di legge presentato sulla riforma della scuola, finalmente si torna a investire sulla scuola e a non tagliare, così com’è accaduto nel passato tante volte.

Si investe finalmente sull’edilizia scolastica, sul Piano della scuola digitale, per l’incremento di alcune materie che erano state ridotte o erano sparite.

Si toglie di mezzo la vergogna del precariato, assumendo centomila insegnanti dalla graduatoria ad esaurimento che viene abolita, dopo di che si sarà assunti solo per concorso. Certo non tutti precari potranno essere assunti e ne rimarranno fuori ancora parecchi (per esempio gli idonei del concorso del 2012 e gli insegnanti inseriti nelle graduatorie d’istituto), con il rischio di molteplici ricorsi giudiziari, ma va riconosciuto il coraggio di un’inversione di tendenza epocale per istituire l’organico funzionale, che dà finalmente attuazione all’autonomia scolastica rimasta finora solo una parola.

E si dà maggiore potere ai presidi, riconoscendo loro il potere di scegliere da un albo regionale gli insegnanti in più che servono alla sua scuola, presentando un Piano triennale di offerta formativa.

Questo ha fatto dire a Francesco Merlo su “Repubblica” che i presidi si trasformano in piccoli boss di paese. E’ vero che c’è il rischio di formare delle clientele e di subire “pressioni” o “raccomandazioni” dai politici, ma sta al dirigente scolastico motivare con serietà e onestà le proprie scelte, i cui criteri vengono approvati dal collegio dei docenti e dal consiglio d’istituto.

In base alle maggiori responsabilità che avranno, i presidi riceveranno più soldi, ma il già citato giornalista Francesco Merlo, rispondendo alla lettera critica di Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi, verso le sue asserzioni, dice che i presidi sono spaventati perché non sono preparati ad essere manager.

Quello che mi spaventa non è tanto essere giudicato da manager, per la capacità ad esempio di attrarre verso il proprio istituto finanziamenti europei, statali, regionali o comunali e anche di privati per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, per la dotazione di attrezzature informatiche, per il miglioramento complessivo dell’istituto scolastico, ecc, ma di essere valutato per situazioni che non dipendono da me: l’innalzamento delle competenze degli allievi, in base ai risultati Invalsi o di quello che sarà (l’Indire e l’Invalsi dovrebbero essere soppressi per dar vita a un nuovo organismo, l’Ipav).

A parte il fatto che il dirigente scolastico non può scegliere tutti i suoi insegnanti nella sua scuola (ma solo quelli in più dell’organico funzionale), egli può favorire le condizioni migliori per una didattica innovativa ed efficace, ma i risultati degli apprendimenti dipendono in parte dai docenti e in parte dalle condizioni socio-economiche-culturali di partenza dell’allievo.

Si rischia di valutare, se passasse un criterio del genere, positivamente i presidi e gli insegnanti che stanno nelle scuole dei quartieri benestanti e negativamente i presidi e gli insegnanti che lavorano nei quartieri meno abbienti.

Una riforma importante per evitare questo (non sempre le innovazioni sono un progresso), sarebbe ripristinare la platea, costringere cioè i genitori di un quartiere a rimanere nel proprio istituto comprensivo e a non scappare verso altre scuole, questo sia per assicurare la continuità didattica ed educativa sia per evitare di creare scuole-ghetto. Per non farli convivere con i ragazzi più a rischio, i genitori, dopo la scuola primaria, preferiscono iscrivere i loro figli nelle scuole dei quartieri benestanti e così le classi in questi istituti non possono essere equieterogenee ma tragicamente omogenee, con i conseguenti risultati scadenti di apprendimento. La libera scelta dei genitori la lascerei ai soli istituti superiori.

Ma di questo si discuterà con un successivo provvedimento, che speriamo possa tener conto di queste osservazioni. Io voglio rimanere nella mia scuola ai Quartieri Spagnoli, noto quartiere a rischio, perché la continuità del dirigente scolastico in una scuola è importante, e non solo quella degli insegnanti (finalmente si trattengono gli insegnanti per 3 anni nel disegno di legge!).

Ma se passa una valutazione del genere sono costretto ad emigrare verso una scuola nei quartieri migliori o a fare il concorso a ispettore, per passare dall’altra parte, dalla parte cioè del valutatore, che è un ruolo più facile, e non del valutato.

Circa il premio annuale che i presidi possono dare agli insegnanti meritevoli (500 euro, sic! pari all’importo che i docenti riceveranno con la carta del docente per aggiornarsi), ho altre perplessità. L’art. 10 del disegno di legge recita:”Il dirigente scolastico, sentito il consiglio d’istituto, assegna annualmente la somma… sulla base della valutazione dell’attività didattica in ragione dei risultati ottenuti in termini di qualità dell’insegnamento,di rendimento scolastico degli alunni e degli studenti, di progettualità nella metodologia didattica utilizzata, di innovatività e di contributo al miglioramento complessivo della scuola”.

Diventa difficile attribuire con metodo oggettivo questo premio al 5% degli insegnanti della mia scuola. La platea dovrebbe essere più ampia: si è passati dal 66% degli insegnanti che dovevano essere premiati (limite discutibile) al 5%.

Sono rimasti gli scatti di anzianità, che sarebbero stati tolti ai soli insegnanti nel Pubblico Impiego, ma gli insegnanti italiani continuano ad essere sottopagati rispetto al resto dell’Europa.

Se ne è accorto anche papa Francesco quando ha ammonito:”Non sottopagate gli insegnanti!”, forse sentendosi in colpa per gli sgravi fiscali (400 euro) che i genitori riceveranno per l’iscrizione dei loro figli alle scuole paritarie, per la maggior parte cattoliche.

Capisco che siamo in situazione di crisi economica e si è già fortunati ad avere un lavoro, e che quindi è difficile equiparare gli stipendi degli insegnanti italiani a quelli dei colleghi europei, ma si potrebbe risparmiare già la spesa di un milione di euro per istituire il Portale unico dei dati della scuola. Si vogliono rendere pubblici i dati dell’anagrafe edilizia, i provvedimenti di incarico di docenza, i risultati delle valutazioni del Sistema nazionale di Valutazione, i piani dell’offerta formativa, i dati sulle dotazioni tecnologiche, ma per fare questo basta farli pubblicare obbligatoriamente sui siti istituzionali delle scuole, che ogni scuola ha già, senza centralizzare il tutto, in controtendenza con la valorizzazione dell’autonomia scolastica che si vuole attuare. 

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